L’undicesimo Rapporto delle povertà a cura della Caritas ambrosiano certifica quanto molti già sospettavano: il numero dei poveri definiti “cronici” nel territorio della diocesi di Milano è aumentato nel corso degli ultimi dieci anni di quattro volte. Il dato che colpisce è che il 73,5% di questi poveri sono stranieri. Ilsussidiario.net ha chiesto al professor Blangiardo cosa suggeriscono questi dati: “In modo evidente ci fanno capire che è ora di cambiare atteggiamento nei confronti del problema dell’immigrazione. Senza voler chiudere le frontiere a nessuno, è ovvio che non si può continuare a illudere queste persone con un certo buonismo di fondo quando invece oggi la situazione è cambiata, in peggio, per tutti”. Blangiardo sottolinea anche come il sostegno a queste forme di povertà ricada oggi ancora tutto o quasi sulle spalle del volontariato mentre le istituzioni pubbliche sono assenti in grande parte.
I poveri cronici aumentano, e la stragrande maggioranza di loro sono stranieri.
La cosa non è sorprendente. Lo si era potuto capire dai rapporti che continuamente realtà come Caritas piuttosto che Banco alimentare ci mettevano di fronte, ma anche dai dati forniti dall’Osservatorio regionale. Rapporti che mettevano in evidenza un forte aumento della componente straniera nei dati relativi alla povertà estrema. E’ dunque un dato di fatto e una tendenza che c’era già negli ultimi anni e che è stata accentuata dalle maggiori difficoltà emerse di recente soprattutto nel mercato del lavoro.
Sembra evidente che non si è più in grado di rispondere a un bisogno fondamentale, quello del lavoro.
E’ il segnale di una difficoltà del sistema Lombardia piuttosto che della Diocesi di Milano ma direi anche dell’Italia in generale nel riuscire a rispondere in maniera adeguata a una nuova forma di welfare che viene da questa popolazione che in qualche modo fino a poco tempo fa un lavoro riusciva a ottenerlo. Il lavoro infatti era la cosa più facile da avere molto più difficile ad esempio riuscire ad avere una casa. Da un po’ di tempo anche il lavoro è invece un grosso problema. Questo ci impone una riflessione su quello che potrebbe essere il futuro dell’immigrazione.
Che tipo di riflessione?
Senza chiudere le frontiere ovviamente, nel senso che non deve esserci un atteggiamento di rifiuto, deve invece esserci un atteggiamento responsabile nei riguardi di persone tenuto conto che la situazione è cambiata e dunque non devono essere illuse che tutto sia come prima.
Un problema di comunicazione adeguata?
Certamente: è corretto che non si ecceda in ottimismo o, mi si passi il termine, in buonismo in fatto di immigrazione. Senza nulla togliere all’importanza che assume il fenomeno anche dal punto di vista economico è chiaro che in circostanze come quelle che stiamo vivendo il problema del rispondere adeguatamente ai fatti migratori si pone e quindi la gente non può tranquillamente venire e pensare di trovare quello che trovava prima.
Il volontariato è sempre protagonista nell’assistenza: lei ritiene che le amministrazioni pubbliche all’interno del territorio della Diocesi di Milano forniscano un supporto adeguato?
E’ una mia opinione personale, ma ho la sensazione che mentre il volontariato sia ancora più attivo sul territorio perché sente direttamente il problema avendo un contatto diretto con la gente, invece le amministrazioni in generale, la struttura pubblica, faticano a percepire direttamente la reale portata del problema. Per rispondere una amministrazione ha bisogno di strutture, di risorse, di denaro che in questo momento manca e si va avanti sempre più sul fronte del volontariato piuttosto che della riposta istituzionale.
Si può anche dire che le amministrazioni si siano adagiate sulla realtà del volontariato, approffittandosene un po?
Il rischio c’è e anche senza guardare i colori politici, tutte le amministrazioni hanno enfatizzato il ruolo del terzo settore e hanno giustamente dato gratificazione a chi lo faceva. Però questo è diventato un alibi, del tipo: c’è già qualcuno che ci pensa. Succedeva ai tempi delle vacche grasse, è tanto più normale che accada in tempo di vacche magre come questi. E’ un atteggiamento discutibile e bisognerebbe tirare le orecchie alle amministrazioni perché si rendano conto che oggi il volontariato è sempre più oberato e in difficoltà.