Aiutare chi ha fame non vuol dire solamente sfamarlo, ma anche metterlo nelle condizioni di procurarsi da sé di che vivere. Date le circostanze, l’arcivescovo di Milano, il cardinal Scola, ha ritenuto che fosse giunto il momento di passare alla seconda fase del Fondo Famiglia Lavoro; ieri mattina lo ha presentato agli esponenti della finanza italana: Alessandro Profumo (presidente di Mps), Enrico Cucchiani, (ceo di Intesa Sanpaolo), Victor Massiah (Ubi Banca), Luciano Camagni (condirettore generale del Credito Valtellinese) e Paola Pessina (cda Fondazione Cariplo). C’erano anche i rappresentanti della associazioni che svilupperanno il nuovo Fondo: Acli, Cdo, Confcooperative, Movimento dei Focolari, Comunione e Liberazione.
Accanto ai contributi a fondo perduto, che saranno attivati solo nell’impossibilità di avvalersi degli altri, sono stati introdotti tre nuovi strumenti di sostegno: percorsi di orientamento e formazione mirata all’inserimento o al reinserimento nel mondo del lavoro; interventi di microcredito volti alla realizzazione di micro-impresa; “Fare Impresa Insieme”: si tratta di attività di accompagnamento e formazione per le imprese. Il commento di Aldo Bonomi, presidente di Aaster.
Cosa ne pensa del passaggio alla seconda fase?
Il salto di qualità mi pare assolutamente logico. Ricordo bene che, quando il Fondo fu promosso dal cardinal Tettamanzi, si pensava che fossimo in presenza di una crisi veloce, di attraversamento. E si misero, di conseguenza, in atto delle misure tampone, quali i contributi a fondo perduto, ipotizzando che si avesse a che fare con una dimensione del bisogno delle famiglie senza lavoro temporanea. Il Fondo, quindi, aveva come obiettivo quello di dare un mano a chi era in difficoltà a pagare i mutui, a comprare i libri scolastici per i figli o ad arrivare a fine mese. E, in tal senso, ha ben funzionato.
Ma la crisi è durata 5 anni
Esatto. Preso atto della bontà dello strumento iniziale, si è compreso come non fosse più possibile muoversi in una dimensione di semplice attraversamento della crisi; essa, infatti, si è rivelata decisamente più profonda del previsto mentre, all’orizzonte, non si vedono cambiamenti in meglio. Di conseguenza, contestualmente al mantenimento degli strumenti iniziali, volti a tamponare l’emergenza, si è deciso di mettere in campo quelli tipici delle crisi a lungo termine.
Come valuta quelli che si è deciso di adottare?
Il microcredito e la formazione, entrambi finalizzati alla creazione di un’impresa, e l’orientamento al lavoro rappresentano l’approccio corretto per intervenire sulla fase che stiamo vivendo non più soltanto in termini di assistenza, ma anche di accompagnamento all’uscita dalla crisi sociale. Tanto più che, in quest’epoca, chi perde il lavoro si trova spesso a sobbarcarsi l’ulteriore carico della solitudine.
Ci spieghi meglio
In Elogio della depressione, scritto assieme ad Eugenio Borgna, ho provocatoriamente suggerito: ”depressi di tutto il mondo, unitevi”. Con questo, ho inteso sottolineare come, dentro questa crisi profonda, spesso chi perde il lavoro si sente privato della propria identità, cade in profonde depressioni, smarrisce la giusta dimensione delle cose. In tali circostanze, il problema consiste nel trovare qualcuno che si prenda cura dell’altro. Gli strumenti messi in atto dalla diocesi, in tal senso, sono fondamentali.
Si tratta di un modello cui lo Stato farebbe bene a ispirarsi?
Dentro una crisi di questo genere lo Stato deve, anzitutto, cercare di preservare il più possibile il welfare di sua competenza, come la cassa integrazione. Questo, ovviamente, non basta. Per il semplice fatto che chi riesce ad accedere a questi strumenti di tutela, normalmente è già visibile in questo circuito. Chi non riesce ad accedervi, invece, fa parte della cosiddetta “povertà invisibile”. Al Fondo precedente, infatti, afferivano soprattutto persone che non hanno diritto a tali salvaguardie, o famiglie appartenenti al cosiddetto ceto medio che si sono trovate, improvvisamente, a non essere più in grado di arrivare alla fine del mese. Quindi: non c’è dubbio che meccanismi di auto-mutuo-aiuto rappresentano una forma di welfare di comunità in grado di supportare la dimensione della statalità. Tuttavia, non devono sostituirsi al dovere delle istituzioni di occuparsi di chi sta al margine.
Lei dice che non bisogno sottrarre allo Stato i propri doveri. Ma sul fronte delle politiche attive del lavoro, benché da anni se ne parli, lo stato non ha fatto ancora pressoché nulla
Sa perché il fondo del cardinale aveva funzionato? Perché chi decideva se erogare o meno il contributo alla famiglia povera era il parroco, indirizzato dagli sportelli della Caritas; tutto ciò avveniva senza alcuna procedura burocratica. Eppure, tutti i fondi sono andati a buon fine. Credo che lo Stato farebbe bene a dotarsi di un sistema informativo e di prossimità ai soggetti del bisogno analogamente efficace; se una persona, per ottenere un diritto, deve imbarcarsi in procedure che durano mesi, è evidente che si scoraggia. Il Fondo, in tal senso, aiuterà a dar vita ad un meccanismo di prossimità tra il mondo delle imprese e la disoccupazione.
(Paolo Nessi)