Tutti si sono affrettati a intestarsi la vittoria. O, almeno, a celebrare il proprio successo: il neogovernatore della Sicilia, Rosario Crocetta, che, con il 30,5% dei consensi le elezioni, effettivamente, le ha vinte; i grillini, che con il 18,2% si attestano come primo partito; Nello Musumeci e Gianfranco Micciché, i candidati del centrodestra rallegrati, assieme ai rispettivi partiti che li sostenevano, del fatto che, nonostante le divisioni, avessero limitato i danni. In realtà, è facile comprendere come si tratti di una sconfitta collettiva. Il dato significativo di queste elezioni, infatti, è che con il 52,6% di astensionismo hanno perso tutti. Abbiamo chiesto a Stefano Zecchi, professore di Estetica presso l’Università di Milano, se una simile disfatta per la politica potrebbe replicarsi anche in occasione delle imminenti elezioni lombarde.



Da cosa è dipeso l’astensionismo siciliano?

In Sicilia si sono prodotte delle situazioni che non hanno convinto gli elettori a recarsi alle urne. Quando un cittadino va a votare lo fa perché ha deciso di premiare una parte politica piuttosto che un’altra. Se nessuna tra quelle in campo dà alcuna soddisfazione o garanzia, l’astensionismo diventa l’unica strada praticabile.



Ci spieghi meglio

I siciliani vogliono che la propria classe dirigente si interessi della cosa pubblica, invece che dei propri interessi. E, da questo punto di vista, non credo che ci siano molte differenze tra gli elettori delle diverse Regioni. In queste elezioni il corpo elettorale, dopo aver svolto le proprie considerazioni in base al programma dei candidati, alla loro storia personale e ai loro curriculum, evidentemente non è rimasto convinto. Credo, quindi, che la popolazione siciliana, benché sia meno attiva sul piano delle scelte politiche rispetto a quella delle altre zone d’Italia, questa volta abbia dato un forte segnale di maturità, segnalando la propria presa di coscienza della situazione.



Lei, quindi,  giudica l’astensionismo siciliano positivo?

Direi di sì. Quando si deve andare a votare e non c’è una classe dirigente in grado di raccogliere la fiducia dei cittadini, e nella quale essi possano riconoscersi, il non voto può rappresentare uno sprone decisivo e un atto politico ben preciso. La manifestazione di sfiducia nei confronti della politica è tale da poter convincere gli amministratori locali a dar vita a operazioni di pulizia morale e di presentazioni di curriculum personali che testimonino la capacità di governo del territorio.

In ogni caso, non è la prima volta che la classe dirigente Siciliana non si dimostra all’altezza dei propri doveri

Motivazioni storiche precise legate, ad esempio, ai processi successivi all’Unità d’Italia o all’utilizzo della Cassa del Mezzogiorno in un’ottica assistenziale invece che per dare autonomia gestionale, hanno determinato scompensi evidenti tra il nord e il sud. Al di là delle ragioni storiche, è evidente a tutti come oggi quattro Regioni del nord – Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia Romana – rappresentino il traino dell’Italia per raccolta fiscale e capacità produttiva.

Crede che anche in Lombardia le prossime consultazioni per eleggere il nuovo presidente siano a rischio di forte astensionismo?

Mi pare che le circostanze delle elezioni lombarde siano decisamente diverse. A partire dalla candidature. Mi riferisco, in particolare, a quella forte, di Albertini, in grado di raccogliere anche gran parte di quel flusso che andrebbe, eventualmente, a confluire il bacino del non voto.  

Eppure anche la Lombardia sta venendo travolta da alcuni scandali. Non crede che potrebbe replicarsi un fenomeno analoga alla vittoria dei grillini in Sicilia?

Non credo proprio. La Lombardia ha saputo esprimere, in questi anni, una gestione straordinaria, dando vita ad una realtà economica e socio-assistenziale tra le più importanti e le più invidiate in Europa. Penso che i cittadini non avranno difficoltà a riconoscersi nella prossima classe dirigente. Sempre, ovviamente, a patto che sia composta da persone oneste e credibili.

 

(Paolo Nessi)