Sulle primarie del centrosinistra per individuare il candidato alla presidenza delle Regione Lombardia pesano diverse incognite. A partire dall’ipotesi che si facciano effettivamente. Perché se Umberto Ambrosoli dovesse sciogliere le riserve optando per il sì, sono in molti a ritenere che, a quel punto, la competizione risulterebbe superflua. Essendo gradito a tutti, il candidato sarebbe lui, punto a basta. Non chiunque, ovviamente, la pensa in questa maniera. I candidati dichiarati, anzitutto (e ovviamente). La ginecologa Alessandra Kustermann e il socialista Roberto Biscardini sono convinti che la consultazione sia doverosa in ogni caso. Eventualmente, anche Ambrosoli dovrebbe parteciparvi se vuole che la sua corsa alla presidenza sia effettivamente legittima. Sta di fatto che, compresi tutti gli altri candidati o in procinto di candidarsi, stupisce l’assenza di un concorrente forte, espressione del Pd. Abbiamo chiesto lumi sulla situazione a Piero Bassetti, il primo governatore lombardo.



Secondo lei, che cosa sta accadendo in seno al centrosinistra lombardo?

Per come la vedo io, assistiamo ad un fenomeno estremamente positivo: siamo di fronte alla fuoriuscita di una parte della politica dai gusci obsoleti dei partiti. Una metamorfosi da realtà politica organizzata istituzionale e tradizionale in una nuova forma, volta al cambiamento della classe dirigente. D’altro canto, è quanto avvenne con la scelta di Pisapia. Il sindaco fuoriuscì dagli schemi descritti dalla lotta tra i partiti. Ovviamente, non si tratta di abbandonare una certa parte politica. Questo sarebbe impossibile. Ma del semplice abbandono di un modello organizzativo. In sostanza, è in questione l’appartenenza politica.



Cosa intende?

Il candidato si presenterà agli elettori come appartenente al Pd, o alla civitas?

Siamo al preludio della fine dei “professionisti” della politica?

Guardi, non userei il termine professionista. E’ equivoco. E non è un elemento caratterizzante.  Non è detto che chi appartiene alla società civile non faccia politica. Né che, ovviamente, disponga di meno capacità o professionalità per farla di chi milita all’interno dei partiti.

Il cambiamento in atto è legato ad una situazione contingente? Agli scandali, per intenderci?

 

No, è legato alla fase storica, alla fine delle ideologie, alla globalizzazione. Siamo in una società complessa. Che non può più essere guidata da definizioni ideologiche. Che significato può ormai avere proporre la ricetta comunista, quella socialista o quella liberale? Assistiamo, in sostanza, ad una cambiamento di categorie concettuali. Credo che l’Italia, in questo, sia più avanti degli altri Paesi europei.



Per il centrosinistra l’espressione di quanto da lei descritto sarebbe Ambrosoli. Se decidesse di candidarsi, cosa accadrebbe?

La sua candidatura non rappresenterebbe lo scompaginamento della carte; al contrario, siccome le carte si sono scompaginate (ovvero, la situazione si è evoluta) rappresenterebbe la risposta al cambiamento. Con lui si potrebbe mettere assieme il meglio della tradizione politica con il meglio della società civile. A quel punto, non ci sarebbe più bisogno delle primarie perché Ambrosoli sarebbe il concorrente più calzante rispetto alla nuova prospettiva politica.

Si potrebbe obiettare che candidarlo senza passare per una consultazione equivarrebbe ad una nomina dei partiti

Non direi. Si parla di Ambrosoli non perché va bene ai partiti. Ma perché, a differenza loro che non hanno più nulla da proporre, va bene agli elettori. Sarebbe l’opposto di un’operazione partitica.  

 

 

(Paolo Nessi)