Nonostante le rassicurazioni di Monti sulla ripresa nella seconda metà dell’anno, rassicurazioni ripetute anche da altri ministri del governo, le prospettive sono sempre più nere. Sul fronte interno aumenta il debito, aumenta la disoccupazione (ormai stabilmente oltre l’11%), rimane in robusto calo la produzione industriale, crolla il mercato dell’auto (ormai abituato a calare del 20% ogni anno). Sono dati devastanti, per i quali non si vede alcuna possibilità di recupero. Viene da pensare che avesse ragione la Merkel, quando le scappò di dire la verità, cioè che per far passare la crisi ci sarebbero voluti oltre cinque anni.
E proprio questo è il punto critico oggi; la soluzione della crisi non possiamo aspettarcela dall’attuale governo, né tantomeno dai poteri costituiti in Europa. E questo ormai è divenuto chiaro a molti. Quello che è meno chiaro è cosa occorra fare. Comunque, le voci girano e qualcosa di importante inizia a muoversi.
In settimana si è svolto a Milano un incontro nel quale il leghista Gibelli, vicepresidente della Regione Lombardia, ha presentato l’iniziativa della Regione per uno studio di introduzione alla Moneta complementare. L’idea è ovviamente quella di restituire liquidità a una economia reale agonizzante a causa della mancanza di euro, insieme alla possibilità di trattenere la spesa sul territorio, incentivando così l’economia reale e la ripresa dell’occupazione.
Come confermato pure da autorevoli studi, mentre il sistema bancario con la moneta ufficiale svolge una azione pro ciclica (cioè fornisce moneta quando l’economia è in salute e cresce, mentre tende a trattenerla e non prestarla quando l’economia è in crisi, cioè quando più servirebbe), i sistemi di Moneta complementare svolgono una azione anticiclica, cioè si diffondono maggiormente nei periodi di crisi. Un esempio classico è quello dello svizzero Wir, nato nel 1934 (cioè quasi ottanta anni fa) e oggi ancora presente, con un circuito che coinvolge oltre settantamila aziende e muove circa il 2% del Pil della Svizzera. E proprio la durata dello Wir lascia comprendere che il fenomeno delle Monete complementari non può essere considerato passeggero, né una moda dei tempi nostri.
In effetti, si tratta di applicare anche al sistema monetario un principio di relazione tanto prezioso quanto ancora poco approfondito: il principio di sussidiarietà. L’imposizione di un sistema monetario unico è di fatto una invenzione dell’epoca moderna, che non ha alcun fondamento giuridico o economico. Può sembrare comodo che dovunque si vada si utilizzi sempre la stessa moneta, ma se la moneta è un bene comune, un bene sociale, non può sottostare ai nostri comodi. La moneta deve servire a sostenere l’ambiente economico a cui fa riferimento. Lo studio di questi “ambienti economici” ha portato la scienza economica a riconoscere quelle che sono le “Aree valutarie ottimali”, cioè quelle aree dove è preferibile che vi sia una moneta unica. E l’Europa, lo si sapeva fin dall’inizio, non è un’Area valutaria ottimale.
Io sono contro la dissoluzione dell’euro, poiché non v’è dubbio che esista un nutrito numero di aziende il cui mercato di riferimento è proprio l’Europa (e molte di queste sono tedesche…). Ma vi sono moltissime altre aziende il cui mercato di riferimento è locale, o al massimo nazionale. Per queste aziende, è necessaria una moneta nazionale, che si possa svalutare nei periodi di crisi; così facendo, infatti, si difendono i posti di lavoro e si rendono sostenibili eventuali debiti. Cioè si possono applicare delle politiche monetarie a difesa dell’economia locale e dei posti di lavoro, proprio quello di cui la Grecia avrebbe disperatamente bisogno e che gli hanno impedito di fare.
Occorre quindi guardare con favore il tentativo della Regione Lombardia; non solo perché quando si rispettano principi come il principio di sussidiarietà, la realizzazione di soluzioni efficaci diventa più semplice; ma anche perché il principio di sussidiarietà implica la partecipazione collettiva alla ricerca del bene comune, quindi implica che tutti si assumano la responsabilità e la libertà di cercare il bene comune e di trovare delle soluzioni concrete.
E qui si stanno moltiplicando i segni; e sono segni di un rinnovato amore di tanti italiani verso la propria terra, verso la propria patria. Questi segni si moltiplicano, e iniziano a emergere, e la politica inizia ad accorgersene. In questo senso, la costituzione di comunità locali che si fanno la loro moneta è il contrario dell’immagine di separatismo che spesso (e pure in maniera impropria e superficiale) è stata data di un certo leghismo. Al contrario, pienamente inserite in un contesto di rapporti sussidiari, le comunità locali sono il fondamento di quelle nazionali.
In tempi come questi, di grande sfiducia nella politica, questa è la dote preziosa che i sistemi di Moneta complementare possono portare ai popoli oggi devastati dalla crisi economica.