L’editoriale del Corriere della Sera, ieri mattina, era da manuale. Antonio Polito è magistrale nell’esporre e argomentare il disagio degli editori e della direzione all’indomani dell’”endorsement” del Ppe a Mario Monti e a ventiquattrore dall’apertura dei seggi per le primarie del Pd per il voto in Lombardia. Il disvelamento dell’autentico Monti-2 (politico, moderato, superatore di Berlusconi nel centrodestra, non suo avversario nel centrosinistra) è “fastidioso”, mentre è “evidente l’ingerenza” dell’Europa nella sovranità politica italiana. E’ curioso che a mostrarsi sorpreso sia il quotidiano di cui il premier uscente è coscienza intellettuale da quasi quarant’anni. Quel “Corriere” che ha fatto dell’ingerenza tecnica e cosmopolita (quella degli eurocrati e dei mercati finanziari) il suo strumento d’intervento più efficace: sostenendo – oltre ai Monti, ai Draghi, ai Ciampi – anche i Prodi, i Tremonti e le Bonino quando utili alle cause (di per sé rispettabili) di un capitalismo nazionale prima industriale e poi finanziario in perenne transizione.



Ma nell’inevitabile misto di poker e di scacchi, di caso e di necessità che caratterizza ogni grande cambio di stagione, il “ridotto del Corriere” si ritrova in una posizione scomoda. Aveva fatto di Umberto Ambrosoli – consigliere Rcs e orfano di un martire in una delle tante guerre combattute attorno a Via Solferino – la propria icona sulla scacchiera in costruzione della Terza Repubblica. La riconquista della Lombardia – con il seppellimento del ventennio di Roberto Formigoni e la vittoria sui “paria” leghisti di Roberto Maroni – avrebbe dovuto segnare simbolicamente l’inizio della nuova era. A questo era stata sacrificata perfino la candidatura di Gabriele Albertini, assai più strutturata e soprattutto coerente con quella Lombardia che lo stesso Corriere ha in fondo sempre incarnato (anche perché i suoi lettori abitano lì). Ma il mito “neo-resistenziale” del Corriere ha avuto la meglio nel costruire dal nulla la candidatura Ambrosoli: forse anche per far dimenticare che – se il “vecchio” Berlusconi ha dominato la politica italiana per un ventennio – i “duumviri” bancario-editoriali Giovanni Bazoli e Cesare Geronzi ne sono “power broker” da trenta (lo ha ricordato proprio ieri l’ennesima bizza di Diego Della Valle).



Ambrosoli, in ogni caso, avrebbe dovuto concretizzare – assai più di Nicola Zingaretti, probabile vincitore nel Lazio – la prima vera “liberazione”: in attesa di quella “finale” ad opera di un Monti “al quadrato” (di cui il 42enne avvocato milanese stava già assumendo i panni dell’allievo e delfino).  Ma come si fa, ora, a sostenere Ambrosoli come candidato del centrosinistra in Lombardia, “ma anche” Monti leader del centrodestra in Italia/Europa? Come può fare il “Corriere” ad appoggiare il “suo” Monti appoggiato – con tutta probabilità – anche da Roberto Formigoni? E poco conta, a questo punto, se Monti andrà al Quirinale e non a palazzo Chigi: in questo caso si realizzerebbe una “coabitazione” come quelle talora sperimentate nella Francia semipresidenzialista. Oppure una “larga coalizione di fatto”. In ogni caso, stavolta, i problemi non sono dell’Italia. Sono del Corriere (che è fra l’altro alle prese con i suoi guai aziendali) e del Pd di Bersani. Ma come ha detto il segretario democratico poco dopo l’affermazione nelle primarie nazionali, “sono buone giornate per la democrazia italiana”.

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