Sabato si è tenuto il concerto di Natale al terzo raggio maschile di San Vittore, con Coro Polifonico di Sant’Ignazio di Loyola, dal titolo “… Certo che se questo Mistero si potesse incontrare”. Come raccontano gli stessi carcerati, che hanno vissuto quel momento in prima persona, è stato un momento fondamentale per la loro vita.
Racconta Paola, una volontaria: “Sarebbe potuta sembrare una festa natalizia come tante altre (con canti e panettone), ma si è svolta in un raggio del carcere di San Vittore. Per me, che vado lì a far visita ai detenuti da poco più di un mese, è stata l’occasione per re-incontrare l’umanità che abita quelle mura. Solo un episodio, piuttosto illuminante. Con un’amica all’inizio del concerto ci impegniamo a distribuire i fogli con i testi dei canti che sarebbero stati eseguiti: ai detenuti – avevamo pensato – la versione più bella, con un’illustrazione della Natività; agli altri (volontari e ospiti), la versione più semplice, senza illustrazione. Ci siamo collocate in fondo, e, quando la gente ha iniziato a entrare, ci siamo accorte che era impossibile distinguerli: ‘Già, non c’è differenza fra noi e loro’, ha commentato la mia amica. Beh, è una umanità ciò che abbiamo l’occasione di rivedere ogni volta che torniamo lì, fra quelle mura, a incontrare quelle persone”.
Come osserva invece Daniela, “in questo periodo si parla di San Vittore per argomenti ‘tangenziali’… lo sconcerto per l’arresto del cappellano con conseguente alzata di scudi da parte del popolo benpensante, e la Pietà di Michelangelo in procinto di essere esposta in tale luogo, con polemiche al seguito sul significato e l’opportunità di tale iniziativa. Del desiderio di felicità delle persone lì recluse non se ne parla. Ma oltre a non mettere a tema tale argomento, sembra che non interessi, mentre è la questione centrale: tentare di dare una risposta allo sgomento che può prendere il sopravvento quando un ‘punto di riferimento’ vien meno o arginare il disappunto quando si parla di un luogo come palcoscenico artistico con il rischio di dimenticare chi vi abita. Ieri qualcosa è accaduto. Non ne parlerà nessuno. Ma è accaduto. I volontari dell’Associazione Incontro e Presenza hanno organizzato, grazie alla collaborazione della Direzione, un concerto di Natale per i detenuti del 3^ raggio. Il coro polifonico di S. Ignazio di Loyola – che si è recato nel penitenziario per tale iniziativa anche l’anno scorso ha reso possibile vivere un momento di bellezza e intensità per attendere il Natale insieme a detenuti, educatori, volontari, agenti di polizia”.
Durante la serata, come racconta sempre Daniela, sono stati eseguiti “canti della tradizione italiana, francese, austriaca, inglese e sudamericana. Per dire che il cuore dell’uomo è Uno a tutte le latitudini. E non solo geografiche, ma anche le latitudini che fanno percorrere agli uomini percorsi diversi, talvolta fatti di tragedie, di misfatti, di omicidi, di dolore procurato e subito. Ma tutto questo non vince sulla sete di speranza e vita. E anche ieri non ha vinto, perché bastava osservare i volti dei detenuti partecipanti al concerto che non si lasciavano scappare una parola leggendo i foglietti preparati con i testi, oppure i sorrisi di alcuni amici ‘esterni’ che sono stati invitati a condividere questo momento. Durante gli acuti e gli assolo dei coristi le mura sembravano spalancarsi per gridare una sete di perdono, di giustizia e verità che vorrebbe essere gridata al mondo. Uscire da un pomeriggio passato insieme in carcere ‘contenti’ è davvero un paradosso. Eppure accade. Perché come ha detto il Papa recentemente e i volontari hanno ricordato ai presenti ‘Dio ha tempo per noi, si occupa di noi’. Questo è ciò che ciascuno dentro e fuori si vuole sentire dire in questo S. Natale. E i volontari di Incontro e Presenza hanno tentato di dirlo ieri con questa iniziativa”.
Mentre Massimo ammette che “le parole sono sempre quelle inadeguate per descrivere cosa si è mosso nello spirito, magari giù nell’anima; potrei usare i soliti termini come emozione (troppo generico), forse più turbamento, forse sgomento; sono sempre stato scarso nella scrittura. Forse devo semplicemente contemplare il mistero del bene e del male, della creazione, che è follia e amore infinito. Grazie a tutti quelli che mi hanno tirato sabato pomeriggio nel terzo raggio di san Vittore”.
Chiara, un’altra volontaria, confida che “ogni volta che organizziamo un qualche ‘evento’ da portare in carcere io ho ben in mente che non lo faccio per dare un servizio o per riempire la giornata dei detenuti. Lo faccio – soprattutto quando organizziamo qualcosa insieme ad un coro- perché voglio portare ai miei amici la bellezza. Sabato mentre stavamo ascoltando i canti natalizi – pur dentro all’arrabbiatura per la stupida separazione tra loro e noi- io li guardavo, ci guardavo.. E pensavo al titolo dell’invito ‘Se solo il mistero si potesse incontrare…’. Per me, lo abbiamo tutti incontrato sabato attraverso la bellezza che si fa carne in carcere, attraverso il coro e attraverso le voci di chi tentativamente e timidamente provava a seguire a suo modo i canti”.
Emanuela, una delle soliste che hanno rallegrato la serata cantando per i detenuti, ha osservato che “tante volte ho cantato questi canti e sarebbe dovuta essere una passeggiata quella di ieri…e invece la voce si interrompeva per la commozione. Pensavo a quello che stavo cantando, al peso di quelle parole che portavano un messaggio di speranza, che portavano Gesù e per chi le stavo cantando. Ma mi sono stupita ad accorgermi che le stavo cantando innanzitutto per me ! Mangiando più tardi una fetta di pandoro con un detenuto, questi ci faceva i complimenti e allora gli abbiamo chiesto quale fosse il canto che più gli era piaciuto e lui: ‘Tutti perché li avete cantati con il cuore, vi guardavo in faccia uno ad uno mentre cantavate e dai vostri volti si vedeva che cantavate con il cuore’. Grazie per avermi dato questa grande occasione che mi ha permesso di vivere più intensamente questo periodo di avvento”.
Per Paola infine, “un conto é sentirne parlare, del carcere, un altro é entrarci, passare i controlli, vedere cancelli pesanti che si aprono e si chiudono dietro di te, vedere le celle che una dopo l’altra si inseguono nei corridoi…ogni tanto pensavo, per un istante, ma se io volessi uscire come faccio? E sentivo un pugno nello stomaco per questa sensazione di costrizione pensando a chi vive il carcere come condizione quotidiana. Poi la bellezza dei canti, la passione della direttrice del coro, tutti questi uomini visibilmente felici di essere lì, di essere insieme (ho pensato o ci sono amici qui dentro o non si sopravvive) e di mettersi ad ascoltare. Alla fine del primo canto, la nostra fascia (gli ospiti), é rimasta composta, mentre loro, tutti, sono scoppiati in un fragoroso applauso. Così per ogni canto. Come dire, il contraccolpo al bello che forse per noi é attutito, magari anche semplicemente dalla buona educazione o dalla distrazione, per loro grazie a Dio é ancora vivo!
Poi al termine mi sono fermata a parlare con loro, li ho avvicinati io, a me piace conoscere e incontrare le persone. Ho conosciuto Stefano che fa il culturista e il personal trainer, mi ha detto che mangia solo proteine, che si allena in una palestra dentro il carcere, che vorrebbe tornare a Bollate, mi ha detto della fatica della convivenza, che mi potrebbe raccontare la storia della vita dei suoi della cella dato che ormai la conosce lui meglio di loro …! Mi ha detto di comportarmi bene e di non fare come lui che ha fatto il pirla … Mi ha commosso vedere l’amicizia in atto tra voi e loro, come vi salutavate, da un lato la gioia di vedersi dall’altro la fatica da parte di ognuno, chi dentro il carcere chi fuori, di salutarsi e dover aspettare tempo prima di rivedersi. Ti ringrazio dell’invito, mi piacerebbe tanto non finisse qui”.