Le quattro banche che si sono rese responsabili della presunta truffa da 100 milioni di euro sui derivati ai danni del Comune di Milano sono state condannate al pagamento di un milione di euro a testa. Si tratta di Deutsche Bank, Ubs, Jp Morgan e Depfa Bank. Per il procuratore aggiunto, Alfredo Robledo, la sentenza di ieri “è storica” e riconosce il dovere di trasparenza da parte delle banche”. Ilsussidiario.net ha intervistato Davide Corritore, city manager del Comune di Milano e principale artefice della causa che, per quanto riguarda Palazzo Marino, si era chiusa con una transazione da 700 milioni di euro.
Come valuta la sentenza di ieri sui derivati?
Quella dei derivati è una vicenda che ho vissuto interamente dal punto di vista del Comune di Milano, per il quale la questione si è chiusa tempo fa con una transazione. Quest’ultima ha consentito di portare nelle casse di Palazzo Marino 450 milioni di euro subito e 250 milioni negli anni prossimi. E’ una soluzione che abbiamo voluto mesi fa perché sarebbe stato difficile, anche in seguito a una sentenza di eventuale condanna, potere raggiungere un accordo in un momento successivo. Siamo usciti da questo contenzioso perché abbiamo valutato un forte interesse economico per il Comune di Milano, senza che peraltro ciò impedisse che il corso penale proseguisse per la sua strada come di fatto è avvenuto.
Che cosa cambia con la condanna della quattro banche implicate nel processo?
La vicenda dei derivati di Milano ha consentito in questi anni di riflettere da tutti i punti di vista sull’utilizzo di questi strumenti per gli enti locali. I Comuni si sono resi conto della loro complessità, e probabilmente si è chiuso un pezzo di storia in cui i derivati sono stati utilizzati con una certa incoscienza. In questo modo si è quindi contribuito a creare informazione e trasparenza sull’uso di questi strumenti che, pur non essendo in sé negativi, sono comunque rischiosi.
Per Robledo l’Italia, ma potremmo dire Milano, “è stata terra di scorribande per le banche”. E’ stato davvero così?
In Italia sono stati sottoscritti centinaia di contratti, e se è potuto accadere che nel nostro Paese gli enti locali facessero così tanti derivati, in molti casi con l’assunzione di forti rischi, è stato perché non c’era una normativa che impedisse tutto ciò. Nel Regno Unito i derivati sono vietati agli enti locali, in quanto negli anni ’80 vi furono vicende che provocarono buchi nei bilanci dei Comuni. La normativa in Italia è nata soltanto agli inizi degli anni 2000 e ha consentito di utilizzare questi strumenti senza limiti dal punto di vista delle finalità. Ritengo per esempio positivo che i derivati siano utilizzati con finalità di copertura dei rischi, mentre non condivido che vi si sia fatto ricorso con scopi diversi tra cui quello di generare cassa immediata. Se le scorribande sono avvenute ciò è stato reso possibile dal fatto che c’era un terreno fertile dato da una normativa che non ha regolato questi strumenti come invece avveniva da tempo in altri Paesi.
Che cosa ne pensa della legge oggi in vigore in Italia sui derivati?
Oggi siamo all’estremo opposto: non si possono più fare i derivati, se non per chiudere quelli esistenti. Prima si poteva fare tutto, oggi non si può più fare niente. I derivati sono come un coltello che può essere utilizzato per tagliare una bistecca o per uccidere una persona. Non è lo strumento in quanto tale che è dannoso, dipende da come lo si usa. Il derivato per esempio può servire per coprire i rischi di rialzo del tasso di interesse per un ente locale in difficoltà. Sempre ieri Ubs Svizzera ha ammesso la manipolazione del Libor.
Come ne escono le banche da queste due diverse vicende?
Queste due vicende contribuiscono a fare sì che molte banche agiscano in modo diverso dal passato e abbiano una maggiore attenzione, soprattutto quando si ha a che fare con il cliente pubblico. Un Comune è espressione di una comunità di persone, e non soltanto un soggetto imprenditoriale a cui si può pensare di vendere un contratto.
(Pietro Vernizzi)