Un tuffo nel passato, in quegli anni ’70 evocati dai pantaloni a zampa d’elefante, dalle pettinature stravaganti, dalle camicie “psichedeliche”, dalle hit dei Bee Gees e rappresentati dal film cult di quel periodo, “Saturday Night Fever” che lanciò la carriera di John Travolta, nel 1977. Una “febbre del sabato sera” che brucia ancora oggi, grazie al musical in scena, fino al 27 gennaio 2013, al Teatro Nazionale di Milano. Un successo incredibile, più di 70.000 biglietti venduti e tanto interesse da parte di appassionati e non di musical. Produzione internazionale (scenografia di Carla Janssen Hofelt, costumi di Cocky van Huijkelom, disegno luci di Andrew Voller, disegno fonico di Jeroen Ten Brinke, parrucche e trucco di Sjoerd Didde; coreografie di Chris Baldock), è approdato a Milano con una versione rigorosamente italiana: Franco Travaglio ha curato l’adattamento in italiano di testo e liriche, mentre Chiara Noschese, già casting director, affianca la regista Carline Brouwer come regista associato e residente; gli arrangiamenti musicali sono di Phil Edwards e Nigel Wright, il direttore musicale è Simone Manfredini, il programmatore musicale è Lee McCutcheon. A guidare un cast di giovani talenti interpretando il ruolo di Tony Manero, Gabrio Gentilini, giovanissimo forlivese (è nato nel 1988), scelto tra duemila candidati e al suo primo ruolo da protagonista. In questa atmosfera da Broadway, ilsussidiario.net ha intervistato la regista Chiara Noschese.



La “Febbre del sabato sera”, successo strepitoso nei Paesi Bassi e novità assoluta per l’Italia: quanto c’è in questo spettacolo del film degli anni ’70 e del successivo musical?

La storia è la stessa del film, ma nell’allestimento olandese – che è quello che mettiamo in scena noi – è stata riscritta ed è forse meno drammatica di quella di cui è protagonista John Travolta.



Lei è stata direttore casting e poi anche regista associata e residente: è stato difficile lavorare con il cast di questo musical, interpretato da tanti artisti di sicuro talento ma, vista la giovane età, ancora un po’ “acerbi”?

Direi di no, anzi è stato stimolante, emozionante e coinvolgente. Ho potuto trasmettere loro quello che ho imparato in tanti anni di professione.

Coinvolgente quanto la collaborazione professionale con Carline Brouwer, la regista del musical?

Siamo amiche nella vita, oltre a stimarci e rispettarci professionalmente. Anche Carline era un’attrice prima di diventare regista, il nostro percorso artistico è stato molto simile.



 

Suggestiva la scenografia che ricrea la Manhattan di fine anni ’70 in cui risuonano le celebri canzoni dei Bee Gees…

Sì, la scenografia è innovativa e funzionale ai vari momenti dello show: ora è una strada, ora una sala prove, ora il ponte di Brooklyn, ora una discoteca. E l’orchestra – che suona rigorosamente dal vivo, come nelle riviste d’un tempo – è meravigliosa, un insieme di giovani e talentuosi musicisti.

 

In un musical, oltre alle canzoni, grande importanza hanno anche i costumi…

In effetti la confezione dello spettacolo è assolutamente eccezionale per l’Italia, di livello altissimo, luci degne di un concerto rock, cura e attenzione in tutto. Le parrucche, ad esempio, sono 60 e sono state necessari sei mesi di lavoro per confezionarle. E poi i costumi: solo quelli di Manero sono originali anni ’70, tutti gli altri sono rivisitazioni in stile moderno di materiale recuperato in tantissimi mercatii vintage.

 

Il segreto del grande successo di questo musical?

Una grande storia, un grande cast e delle grandi musiche. E poi, anche se si ispira al passato, parla dell’oggi: parla di giovani, del loro coraggio di trasformarsi e andare oltre una vita senza futuro.

 

(Franco Vittadini)