Il sistema universitario lombardo è promosso a pieni voti dall’Ocse. Lo ha messo sotto esame per un triennio, tra il 2008 e il 2011; poi, nella seconda edizione della review Higher Education in Regional and City Development, è comparso il positivo verdetto. Il rapporto è stato presentato nel corso della prima conferenza annuale di Éupolis, l’Istituto superiore per la ricerca, la statistica e la formazione della Regione. Da esso sono emersi una serie di dati inequivocabili. Ad esempio, il numero di brevetti registrati in Lombardia è stato pari, nel 2009, a 1.306, il 31% del totale italiano, mentre la percentuale di laureati che nella Regione lavora a distanza di 3 anni dalla laurea è pari al 70%, contro il 56 della media italiana. Abbiamo chiesto ad Adriano De Mario come interpretare il responso dell’Ocse.
Da cosa dipende l’eccellenza riconosciuta dall’Ocse?
Dipende dalla tradizione e dalla storia del sistema lombardo che hanno, da sempre, puntato sulla formazione e sull’università come elemento di sviluppo del territorio a partire dalla nascita della seconda università in Lombardia.
Ci spieghi meglio.
La prima è una delle più antiche al mondo, quella di Pavia. La seconda è il Politecnico e fu voluta dal sistema culturale-economico-produttivo lombardo.
A quale scopo?
Si attribuiva all’università il compito di incrementare le intelligenze e sviluppare il territorio e la società. Con lo stesso criterio sono nate la Bocconi, la Cattolica, la Statale e tutte le altre. La Lombardia da almeno 150 anni ha dato un’assoluta posizione di privilegio al sistema formativo universitario in termini di sviluppo generale.
Si può presumere che anche le altre università siano nate con un simile scopo.
Non è così. Le altre università sono nate con scopi altrettanto nobili (per motivi culturali, di formazione ed educazione o legati all’approfondimento di taluni settori), ma non con questa precisa individuazione, allo scopo, cioè, di essere l’elemento portante dello sviluppo di un territorio.
In che termini sviluppo e università sono interconnessi?
Vi è un rapporto biunivoco ed essenziale, che può assumere le più varie forme. Ad esempio, nel campo industriale-produttivo lo sviluppo economico è legato alla preparazione e alla formazione scientifico tecnologica.
Quali sono i settori cui il sistema universitario lombardo contribuisce maggiormente?
Basti pensare che in Lombardia sono nati i più grandi insediamenti di industrie delle telecomunicazioni, dell’informatica, delle macchine utensili, della gomma, dell’elettromeccanica o della chimica.
Crede che il sistema lombardo sia esportabile?
No, ciascuno deve operare in base al proprio genius loci e alla propria cultura. Il sistema, tutt’al più, può essere considerato un modello, un riferimento, un punto di verifica o un elemento di stimolo e dibattito.
La politica lombarda che atteggiamento ha avuto, negli anni, nei confronti degli atenei?
Si è sempre rivolta ad essi con un atteggiamento di attenzione, favorendoli, anche se, specie negli ultimi tempi, non abbastanza.
Ovvero?
Ad un certo punto si è perso il collegamento tra sistema economico e sistema formativo. La politica non ha insistito perché imprese e università mantenessero la simbiosi di un tempo, con il trasferimento le une dalle altre, ad esempio, di un certo know-how.
Quali sono, invece, i principali difetti del sistema?
Gode dei difetti di tutti gli altri. In particolare, paradossalmente, di scarsa innovazione, in ragione del corporativismo che, sempre più, le ha caratterizzate. E, ogni corporazione, tende, per definizione a mantenere lo status quo.