Il bacio collettivo, organizzato con scarso successo dall’Arcigay a Palazzo Lombardia in occasione di San Valentino, segue di un giorno l’istituzione a Napoli del registro delle cosiddette unioni civili. La scelta di De Magistris a sua volta arriva a qualche settimana dell’apertura del fondo anti-crisi del Comune di Milano anche alle coppie delle stesso sesso, equiparate nei fatti alla famiglia. Sembra esserci in atto una sorta di “assalto alla diligenza” della sinistra più radicale, per forzare la mano con iniziative e atti amministrativi e raggiungere un risultato politico, in risposta anche alle attese di tante lobbies che l’hanno portata alla vittoria in molti capoluoghi.
Eppure risulta strano che il Sindaco di Napoli e quello di Milano, rispettivamente un ex magistrato ed un avvocato penalista, siano scivolati su questioni di diritto. E proprio per questo “scivolone” si può parlare, per lo meno nel caso del fondo anti-crisi della Giunta Pisapia, di forzatura. Infatti in un colpo solo gli arancioni hanno scavalcato il diritto costituzionale e la giustizia amministrativa. Per quanto riguarda la Costituzione repubblicana alla famiglia fondata sul matrimonio (si veda l’inequivocabile articolo 29) è assegnata una posizione di vantaggio rispetto alle altre formazioni sociali dove pure si svolge la personalità di ciascuno (art.2), che su suggerimento della sentenza 138 del 2010 della Corte costituzionale sono comprensive delle convivenze e delle coppie di fatto – etero o omosessuali che siano.
Ed è nei requisiti d’accesso al bando previsti dalla delibera di Giunta n. 142 che, da questo punto di vista, casca l’asino. Infatti oltre alla residenza, all’età e al tetto ISEE, si prevede il «matrimonio, con effetti civili o concordatari, contratto a partire dal 1 gennaio 2012, ovvero persone risultanti coabitanti, sempre a partire dal 1 gennaio 2012, nello stato di famiglia per sussistenza di vincolo affettivo ai sensi dell’art. 4 del DPR 223 del 1989». Peccato che il seguente articolo 5 del Regolamento anagrafico del 1989 spiega che «per convivenza s’intende un insieme di persone normalmente coabitanti per motivi religiosi, di cura, di assistenza, militari, di pena e simili, aventi abituale dimora nello stesso comune». 



Per questo a proposito del dpr 223 la sentenza 2786/07 del Tar del Veneto recita: «la famiglia anagrafica, non importa se a connotazione etero od omosessuale, non deve tramutarsi da istituto essenzialmente strumentale alla raccolta sistemica dell’insieme delle posizioni relative alle persone che hanno fissato nel Comune la propria residenza (cfr. Art. 1 DPR 223 del 1989) a modello di organizzazione sociale equipollente alla famiglia fondata sul matrimonio». Questa sentenza ha posto nella giurisprudenza amministrativa l’accento sulla inaccettabilità di una confusione tra famiglia intesa nel senso tradizionale e famiglia anagrafica; anche perché chi è in grado di attestare inequivocabilmente la sussistenza di vincoli affettivi quale presupposto per la formazione di una famiglia anagrafica? L’ufficiale dell’anagrafe? E in forza di cosa? E chi garantisce che quanti dichiarano all’anagrafe la sussistenza del vincolo affettivo con un convivente non stiano in realtà architettando un danno erariale per prendere i soldi e scappare?
È evidente che qui non stiamo trattando di questioni di sola forma, ma di sostanza. Il diritto infatti privilegia e tutela delle situazioni rispetto ad altre perché apportano un bene a tutta la collettività. Il caso della famiglia, quale società naturale fondata sul matrimonio e aperta alla trasmissione della vita, è da questo punto di vista esemplare. E in un Paese come l’Italia, in cui il numero di nascite è ogni anno di circa 150mila unità in meno di quante assicurerebbero almeno una stazionarietà demografica, la politica della giunta Pisapia risulta davvero poco lungimirante, oltre che ingiusta nei confronti di quanti mettono al mondo nuovi figli. Proprio loro, infatti, saranno i lavoratori di domani e garantiranno con il proprio contributo la sostenibilità della nostra sempre più costosa spesa sociale.

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