Fanno sorridere le reazioni scomposte di alcuni sindacati al progetto di Legge Regionale “Per la crescita lo sviluppo e l’occupazione” che il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, ha presentato il 27 gennaio scorso. La proposta, nei suoi termini generali, è che gli istituti professionali statali possano offrire percorsi di istruzione e formazione professionale che consentano il conseguimento della qualifica e del diploma professionale rispettivamente al terzo e al quarto anno. Fin qui, tutto sommato, nulla di eclatante. Di particolare interesse, invece, appare l’art. 5, la cui nota esplicativa precisa che “La proposta consente alle scuole statali di reclutare il personale docente con un concorso di istituto che realizza l’incrocio diretto fra domanda e offerta”. Così, mentre una legge nazionale (dl sulle semplificazioni) “balbetta” sul potenziamento dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, la Lombardia rilancia con un pezzo da novanta. Il progetto, accarezzato da tempo ma rimasto a livello di dichiarazioni o di disegno di legge, potrebbe finalmente prendere forma e diventare presto operativo.
Valentina Aprea, che dopo essersi dimessa da presidente della Commissione Cultura della Camera e da parlamentare è stata recentemente nominata neo assessore all’Istruzione nella giunta regionale lombarda, ha ribadito il carattere sperimentale del progetto legislativo, precisando che varrà, per il momento, per i contratti annuali e che, comunque, le modalità di attuazione saranno prima concordate con il governo. Ma i sindacati non ci stanno. Per la FLC-CGIL Lombardia, infatti, “la proposta che a partire dall’anno scolastico 2012/2013 le istituzioni scolastiche statali possano organizzare concorsi differenziati a seconda del ciclo di studi, al fine di reclutare personale docente necessario a svolgere le attività didattiche annuali, è inaccettabile”.
Non diverse, nel tono, le reazioni di CUB Scuola, che però hanno il merito di rendere più esplicite le motivazioni dell’indignazione sindacale: “In pratica, se il progetto formigoniano passasse, ogni dirigente scolastico potrebbe reclutare il proprio personale come e dove vuole. Naturalmente la proposta prevede che tutto avvenga nel rispetto dei principi di imparzialità, trasparenza e pubblicità e ci mancherebbe!, ma sappiamo bene che un simile modello di reclutamento del personale non sarebbe altro che la ratifica del dispotismo che già caratterizza la pratica di molti, troppi, dirigenti scolastici, del predominio di interessi locali e particolari di svariati gruppi di pressione, di una logica feudale e clientelare. Possiamo immaginare l’imparzialità di un concorso fatto a livello di istituto ad opera di una commissione presieduta dal dirigente”.
Alcune di queste affermazioni, mi pare, meritano davvero una piccola riflessione. Innanzitutto sul dispotismo “di molti, troppi dirigenti scolastici”. Chi sono, dove si trovano, questi tiranni scolastici? Se c’è una professione dirigenziale che non corre il rischio del dispotismo, è proprio quella del dirigente scolastico: tante grane e frequenti conflitti da mediare; l’obbligo (ormai per la maggior parte di essi) di occuparsi di svariati plessi scolastici con diversi ordini e gradi di istruzione, con risorse finanziarie sempre più limitate e davvero pochi strumenti per governare adeguatamente l’emergenza quotidiana; “colpevoli” di tutto senza poter fare proprio quelle scelte da cui dipendono l’efficacia e l’efficienza di una scuola…
Quale dispotismo potrebbero mai esercitare? E poi, ci chiediamo, anche se ne avessero il potere, a che scopo dovrebbero favorire l’assunzione di personale non adeguato? Sappiamo tutti che la qualità della scuola dipende, in massima parte, dalla qualità del personale docente che vi opera: è sensato che un dirigente voglia far affondare la nave su cui naviga? Come spesso accade, l’assassino torna sul luogo del delitto: siamo proprio sicuri che il “predominio di interessi locali e particolari” non sia proprio quello di certi sindacati, veri “gruppi di pressione” che si alimentano di una “logica feudale e clientelare”, che si vede messa in pericolo proprio dalla proposta formigoniana?
Il sospetto sulla non imparzialità di un “concorso fatto a livello di istituto ad opera di una commissione presieduta dal dirigente”, altro non è che la riproposizione della logica dello Stato etico, unico e solo garante del bene e della verità. Una logica che ha garantito, sino ad oggi, un invadente e paralizzante statalismo, un grande potere ai sindacati, una diffusa deresponsabilizzazione del corpo docente (sempre e comunque tutelato, a dispetto di qualsivoglia carenza educativa e professionale) e un progressivo decadimento della qualità del sistema di istruzione nazionale. La nostra società, invece, ha bisogno di una iniezione di fiducia nelle proprie capacità di autoregolazione; una iniezione di sussidiarietà e di responsabilità, che ci faccia uscire dalle secche di questa crisi.
Si parla molto, in questi giorni, di liberalizzazioni; liberalizzare la scuola significa anche questo: permettere alla scuola statale di imitare l’esempio virtuoso di tante scuole paritarie, che investono sulla qualità del personale docente (potendolo assumere al di fuori delle graduatorie) e si assumono la responsabilità – di fronte alle famiglie e al territorio – di un possibile scadimento della propria offerta formativa nel caso di errori, fino al rischio di chiusura…
Ecco, invece di protestare perché si perpetui un apparato che ha evidentemente fallito, i sindacati si impegnino a far sì che inizi a funzionare davvero un buon sistema di valutazione degli istituti scolastici, e che i dirigenti abbiano una effettiva autonomia di governo – con risorse e strumenti adeguati – e la responsabilità fino in fondo delle proprie scelte. Un sistema competitivo, insomma, come esiste in tanti paesi europei e non solo, sostenuto da un sistema sindacale davvero preoccupato del bene comune e della qualità dell’istruzione, anziché della conservazione delle proprie “riserve di caccia”.