Milano. Poniamo, ad esempio, che una famiglia abbia a carico cinque figli e un nonno, o tre figli di cui uno disabile, o che un genitore sia rimasto da solo, o che, ancora, una coppia abbia un solo bambino. Per lo stato italiano, fa poca differenza. La tassazione è uguale per tutti. Che poi, se si tengono in debito conto solamente i fattori relativi a reddito e patrimonio, l’uguaglianza sbandierata si riversa nel principio opposto. Applicare, infatti, la medesima aliquota, senza tener conto dell’effettivo carico familiare, viene considerata una grave forma di iniquità. Almeno dalla Lombardia. Che ha deciso di supplire alle carenze dello Stato in proprio. E, ieri notte, ha approvato una legge regionale che introduce il fattore famiglia. Si tratta di un parametro in virtù del quale il costo dei servizi sociali e sanitari erogati ai cittadini non sarà più proporzionale ai classici quozienti fiscali, ma dipenderà anche dal numero di figli minori, dal numero di disabili e di anziani non autosufficienti a carico e dal fatto di essere una famiglia monogenitoriale. Per un anno, la misura sarà attuata in via sperimentale  in alcuni Comuni della regione. Su tutto il territorio, invece, il nuovo fattore sarà impiegato nel calcolo per l’assegnazione del buono scuola, il contributo per chi manda i figli in scuole paritarie. Lorenza Violoni ci illustra le caratteristiche fondamentali del provvedimento ideato dalla Giunta Formigoni.



Può spiegarci, anzitutto, in cosa consiste esattamente?

Il Fattore Famiglia Lombardo consiste in una rimodulazione dei criteri che determinano le fasce/soglie di reddito tramite le quali si fa la selezione di chi richiede l’accesso a servizi e se ne valuta l’idoneità a ottenere finanziamenti, titoli sociali (buoni, voucher) e contributi (come l’ applicazione al Fondo sostegno affitti). Attualmente tali soglie di reddito  vengono determinate tramite il cosiddetto Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) che calcola la situazione reddituale familiare sulla base principalmente del reddito dichiarato e del patrimonio ed è stabilito a livello nazionale; con una precisazione: sono poi i comuni a stabilire con  quale livello di ISEE si accede ai servizi, con ciò creando forti differenze sul territorio nazionale. Il Fattore Famiglia Lombardo modifica l’indicatore nazionale inserendo come elementi ulteriori (oltre al reddito e al patrimonio) anche il numero dei figli e ulteriori situazioni di bisogno cui la famiglia fa fronte (esistenza di disabili, soggetti non autosufficienti, ecc….)



Quindi?

In sostanza, come è stato in più sedi dichiarato, per la prima volta viene così preso in considerazione il carico familiare nel suo complesso, attraverso la definizione di scale di equivalenza che garantiscano e tutelino le famiglie a seconda della loro condizione concreta. La scala di equivalenza, che costituisce in sostanza il FFFL, fa riferimento al costo dei figli e del coniuge a carico, alle situazioni particolare quali la non autosufficienza, la disabilità, la monogenitorialità, la vedovanza e a eventuali parametri che si possono inserire per meglio quantificare il carico familiare.



Quali sono le differenze rispetto al quoziente Parma? 

Intanto il quoziente parmense è stato istituito tramite un provvedimento amministrativo mentre in Lombardia si tratta di una legge regionale che determinano modalità di calcolo potenzialmente eguali per tutti (anche se poi saranno i comuni a determinare in concreto le soglie). Sul piano pratico, le differenze riguardano i coefficienti con cui si valutano le situazioni sopra citate, cioè quanto “pesano” nel calcolo il numero dei figli, la presenza di disabili, la monogenitorialità, lo stato di disoccupazione ecc… ma la filosofia di fondo è analoga: valorizzare la famiglia nel suo insieme, tutelarla e sostenerla se porta in sé situazioni di disagio o di bisogno; passare insomma ad una valutazione meno astratta di che cosa è e che cosa fa la famiglia che accede ai servizi sociali.

Perché la Regione, in questa particolare congiuntura economica, scommette su un provvedimento che ha dei costi relativamente elevati?

Sono molti i motivi che giustificano il cambiamento: il sistema ISEE è, in sé, iniquo da molti punti di vista ed è in via di modifica anche a livello statale; inoltre, come sappiamo, in Italia sul piano fiscale la famiglia è da sempre potentemente penalizzata mentre si tratta di una risorsa fondamentale, soprattutto in tempi di crisi. Infine – e questo è un elemento di estremo interesse – il nuovo sistema sarà oggetto di sperimentazione per valutarne l’adeguatezza e la sostenibilità; si tratta di una sperimentazione di un anno in alcuni comuni, al termine della quale si potranno fare modifiche alla scala di equivalenza per renderla ancora più corretta ed equa.

Tassare diversamente le famiglie a seconda dei carichi familiari può rappresentare un fattore di sviluppo? 

Favorire fiscalmente la famiglia – in generale – è stato provato essere un fattore di incremento, ad esempio, della natalità, come è successo e succede in Francia, che ha un sistema fiscale molto favorevole per la famiglia. In questo senso, oltre che equo, un sistema che miri ad una redistribuzione del reddito verso le famiglie e, in particolare, verso famiglie numerose o che fanno fronte a situazioni di bisogno, potrebbe senz’altro contribuire a migliorare la difficile situazione sociale in cui ci troviamo. Va detto tuttavia che il Fattore Famiglia non è una riforma fiscale e non funziona come leva fiscale  bensì una riforma che consente di accedere a benefici e servizi secondo criteri ritenuti più equi, bilanciando compartecipazione alla spesa ed esenzioni in base alla situazione reale in cui versano le singole famiglie; pertanto, se mandare un figlio al nido costerà meno rispetto all’applicazione dell’ISEE per famiglie numerose o con situazioni di disagio, si liberano risorse di cui la famiglia può disporre per migliorare la propria situazione. Non è proprio la stessa cosa rispetto a fattori di sviluppo propriamente detti ma sicuramente potrà aiutare a stare meglio chi porta carichi familiari finora ignorati dal sistema fiscale nazionale.

Si dice che Formigoni aiuta chi già, avendo più figli, è ricco. Cosa risponde? 

Si è già risposto in altra sede a questa obiezione, molto simile a quella che si fece quando fu introdotto il buono scuola, che invece si è rivelato alla prova dei fatti un provvedimento cui accedevano molte famiglie a redditi relativamente bassi. Che poi chi ha più figli sia, per definizione, ricco, è un assioma tutto da dimostrare. E, comunque, è indubitabile che chi ha più figli dovrebbe aver diritto a veder riconosciuto l’apporto, anche in termini sociali, che viene dato dalla famiglia. Altri Paesi non considerano reddito tassabile quello che serve a mantenere i figli, il che è più che giusto mentre è ingiusto che una coppia con uno e due figli sia soggetta allo stesso regime fiscale di una con un numero maggiore di figli; del resto, anche la tassa sulla casa prevede facilitazioni in relazione al numero di componenti del nucleo famigliare. Ma, ancora, il fattore famiglia non entra nella questione fiscale ma si limita a favorire un ricalcolo delle spese per servizi che tiene conto di molti fattori relativi alla famiglia (e non solo al numero dei figli).

Perché in Italia non c’è stato un solo governo in grado di introdurre il coefficiente familiare?

Credo si possa dire che si è trattato di una miopia politica molto forte e di un immobilismo che è stato tipico di molti aspetti dell’attività della nostra classe dirigente, anche perché i sistemi fiscali degli altri stati europei hanno dimostrato che forme di tassazione meno inique si sono rivelate fattori di sviluppo. Del resto non solo le famiglie sono penalizzate in Italia: è invece un sistema da riformare e l’esempio lombardo può essere di stimolo a proseguire su questa strada.

A suo avviso il modello è esportabile in altre regioni?

Perché no? E non deve essere necessariamente una esportazione; si potrebbero sperimentare sistemi di calcolo anche parzialmente diversi. Nulla vieta, infatti, di fare sperimentazioni; anzi, questo sarebbe un modo intelligente per fare benchmark ed arrivare ad uno scambio di esperienze utile a tutti

Come potrebbe interfacciarsi la proposta Lombarda con il governo?

La Lombardia si sta muovendo in modo corretto e prudente, decidendo la strategia ma lasciando poi il tempo alle realtà locali di fare esperienza. Credo che questo schema un governo accorto non possa che guardarlo con favore e provare ad applicarlo dove lo ritenga più opportuno e conveniente.

Come valuta l’idea di attuare su tutto il territorio, in via sperimentale, soltanto l’ampliamento della platea degli aventi diritto al buono scuola?

Lo valuto molto positivamente. L’esperienza del Buono Scuola prima e poi della Dote Scuola, con tutte le sue componenti e modulazioni, è stata una esperienza che ha fatto emergere un bisogno grande e anche una grande disponbilità delle famiglie a investire, se adeguatamente sostenute, sul capitale umano dei propri figli. Come ho detto, il Buono Scuola non riguarda i ricchi ma, in grande prevalenza, famiglie con redditi medio-bassi che desiderano però un certo tipo di educazione per i propri figli. I tagli del governo alle Regioni avevano fortemente penalizzato questa politica regionale, creando disagi e problematicità cui va posto rimedio al più presto in nome della continuità scolastica e della qualità dell’intero sistema.

 

(Paolo Nessi)