“Le modifiche di Giuliano Pisapia renderanno il Piano di Governo del Territorio antistorico e contrario alla libertà d’impresa. La storia di Milano insegna che non si possono però fare leggi contrarie allo sviluppo della città e ai desideri della gente, perché il risultato è che ciò che si fa uscire dalla porta rientra dalla finestra”. Ad affermarlo è l’architetto Gianni Zenoni, autore di diversi libri sull’urbanistica e sull’edilizia residenziale milanese tra cui “Studio Zenoni: residenze a Milano (1963-1996)” e “Un bicchiere mezzo vuoto. Urbanistica a Milano 2001-2011”.
Architetto Zenoni, come valuta le principali scelte di Pisapia relative al Pgt?
La scelta di realizzare un Pgt che impedisca ulteriori costruzioni sul verde agricolo è legittima. Il territorio del Comune di Milano è così ridotto che apprezziamo questa decisione che, tra l’altro, era già stata fatta propria dall’ex sindaco Letizia Moratti e dal suo assessore Carlo Masseroli. Se si va in questa direzione, occorre però concentrarsi e lavorare sulle aree già urbanizzate. E’ opportuno per esempio un grande lavoro per migliorare le condizioni termiche di tutti gli stabili milanesi degli anni ’50 e ’60. E’ necessario inoltre intervenire sulle aree dismesse, anche quando si tratta delle centinaia di piccoli laboratori, e sulle aree ferroviarie attraverso un accordo Regione-Comune-Stato. Ben vengano quindi le due scelte fondamentali del Pgt della giunta Moratti: mantenere il valore dei volumi esistenti e cambiare le destinazioni. Al contrario, con i vecchi piani regolatori, se uno demoliva una casa non poteva più ricostruire con lo stesso volume ma doveva adeguarsi agli indici previsti dal piano regolatore e alla stessa zonizzazione. In base al terreno in cui si trovava, un edificio poteva essere solo residenziale, industriale o commerciale. Con il Pgt della Moratti invece l’operatore poteva utilizzare i volumi esistenti, assegnando loro la destinazione più richiesta da mercato. Io sono del tutto a favore di questa impostazione.
E’ vero che Pisapia intende modificare il Pgt, in modo tale che non tutti i cambi di destinazione possano mantenere il volume esistente?
E’ così, e quando l’ho scoperto ho fatto un salto sulla sedia. Il sindaco di Milano intende fare sì che il volume non possa essere mantenuto e che un proprietario sia penalizzato quando cambia la destinazione operativa da area industriale o laboratorio in residenza. La conseguenza di questa modifica sarà che il lavoro di riforma sulle aree già urbanizzate della città non potrà mai essere completato. In base all’ultimo Piano regolatore degli anni ’80, abbiamo osservato che le scelte di mantenere i laboratori e le industrie in città sono fallite, facendo nascere la terziarizzazione selvaggia dei quartieri residenziali e facendo spuntare un può ovunque loft come funghi.
Per quale motivo ritiene che Milano non sia adatta per industrie e laboratori?
Nei centri dell’hinterland lungo la tangenziale, come Assago, Buccinasco e Corsico, industrie e laboratori trovano una collocazione più favorevole per il loro lavoro. E il motivo è sostanzialmente la diffusione del lavoro cosiddetto “just in time”, per cui il pezzo che deve essere lavorato passa da un’industria all’altra in tempo reale. Questo rende necessari dei collegamenti stradali importanti e veloci, ampi spazi e la lontananza dai centri abitati. Certe lavorazioni in città non si possono più fare, perché i camion non riescono a passare nelle strette vie urbane o ritardano per il traffico, impedendo così di consegnare il pezzo in tempo per la lavorazione. La fuga dell’industria da Milano quindi è già avvenuta e la protezione che oggi offre Pisapia a industrie e laboratori è anti-storica perché nessuno la chiede. Oltretutto, il Pgt della giunta Moratti consentiva la libertà di scelta: un operatore poteva decidere se destinare l’edificio a industria o a laboratorio. Quello che è importante è che al proprietario dell’edificio sia riconosciuta una supremazia nella scelta della destinazione, perché è il privato il soggetto che più di ogni altro ha interesse al fatto che la sua attività vada a buon fine.
Ma Pisapia non aveva promesso che si sarebbe limitato a ridiscutere le osservazioni dei cittadini, senza introdurre modifiche al Pgt di sua spontanea iniziativa?
La giunta Pisapia ha riletto tutte le osservazioni, fornendo una risposta a ciascuna di esse. Realizzando questo lavoro, Pisapia ha introdotto però anche degli input politici, aggrappandosi ad alcune osservazioni per modificare i principi fondamentali del Pgt elaborato dalla giunta Moratti. Per esempio ha eliminato la cubatura sul Parco Sud, e su questo non ho nulla da obiettare, come pure per quanto riguarda il blocco dell’avanzamento delle aree fabbricabili sul verde. Quello che non accetto è l’enorme passo indietro sulle destinazioni d’uso, che limita la libertà d’impresa: è quest’ultimo, del resto, il grande problema del nostro Paese. Quando un imprenditore acquista un terreno e vi costruisce un edificio, le sue scelte sono finalizzate a riuscire a venderla. Impedire di scegliere liberamente, obbligandolo per esempio a mantenere una destinazione a laboratorio, rischia di fare sì che quella costruzione resti inutilizzata.
Lei ha definito il Pgt di Pisapia come “antistorico”. A quale storia si riferisce con questa affermazione?
Il Piano regolatore milanese degli anni ’80 è stato redatto da architetti principalmente socialisti, comunisti e democristiani, convinti che Milano non avesse bisogno di uffici mentre in realtà questi ultimi stavano crescendo dappertutto. Al contrario, nel Piano regolatore del ’54 la zona Garibaldi era il primo centro direzionale d’Europa decentrato rispetto al centro storico, prima ancora del centro La Défense di Parigi. Gli architetti milanesi degli anni ’50 avevano suggerito un’idea fortemente innovativa. Sulla base di quest’idea furono eretti il Pirellone e la Torre Galfa di via Galvani, finché il Piano del 1980 disse basta alla “terziarizzazione” della città e bloccò tutto. Non si possono però fare delle leggi contrarie allo sviluppo di una città e ai desideri della gente, perché ciò che si fa uscire dalla porta rientra dalla finestra. Il Piano dell’80 insegna che non si devono proteggere esageratamente le aree industriali della città.
(Pietro Vernizzi)