Latin King, Neta, Luzbel, New York, Trebol, Ms13: i nomi sono quelli delle gang che insanguinano il Sudamerica, ma le cronache recenti ne parlano in riferimento a Milano. Sono 25 i giovani tra i 16 e i 28 anni arrestati dagli uomini del Commissariato di Mecenate, protagonisti di una faida tra bande. Provengono dall’America Latina, e si sono organizzati seguendo gli schemi delle aggregazioni criminali della loro terra d’origine. Praticano il furto e lo spaccio, e lottano per spartirsi il territorio meneghino, operando con  metodi estremamente brutali. Sono cinque i casi di tentato omicidio in soli cinque mesi di indagini. In uno di questi, il 21 novembre, in Via Torino, in pieno centro, un membro della Ms13 è stato aggredito con una mannaia dai Neta. Gli altri quattro tentati omicidi si sono consumati a colpi di machete. Abbiamo parlato di questa nuova criminalità con Gian Carlo Blangiardo.



Come si spiega il fenomeno?

Non è nuovissimo. Le bande giovanili come sottoprodotto culturale dell’immigrazione esistono da svariati anni, ma il problema si è accentuato negli ultimi tempi.

Come mai?

Si tratta di sacche di disagio che risentono, in una città come Milano in cui l’immigrazione ha un peso consistente, di un contesto familiare spesso difficile.



Di che difficoltà parla?

Capita sovente che in America Latin sia la donna a fare da apripista verso altri Paesi a differenza di altri popoli dove, in genere, è il capofamiglia a emigrare per primo. Queste donne spesso si trasferiscono con al seguito uno o più figli. Essendo immigrate, devono darsi da fare in mille modi per sbarcare il lunario e può capitare che li trascurino, non riuscendo e dedicare loro il tempo opportuno per educarli e prendersene cura.  

E’ un fenomeno puramente sudamericano?

No, anche dall’est Europa è spesso la donna a immigrare per prima.

Da cosa dipende?

Dipende, dalla configurazione dal mercato del lavoro, e dalle opportunità che offre in certi ambiti tipicamente femminili, quali colf, badanti, o lavori sanitari, tradizionalmente recepiti da questi Paesi. Vi una consuetudine, in queste popolazioni, a recepire tali lavori. Vi è inoltre una tradizione migratoria che trasmette l’informazione e funge da trait d’union con sorelle, amiche o compaesane. Ovviamente, non si può generalizzare, ma il fattore di rischio, in queste famiglie, è molto alto.



Quanto alto?

La tentazione del gruppo e delle banda assume connotati tanto meno marginali quanto più il fenomeno migratorio è imponente. 

Quanti sono gli immigrati provenienti dall’America Latina?

A Milano i latinoamericani sono circa 60mila. Rappresentano, quindi, il 23 per cento dei circa 260mila stranieri presenti in Città. Sono secondi solamente agli asiatici (ci sono, infatti, moltissimi cinesi e filippini), poco più degli africani e più degli est-europei. Si tratta di una peculiarità milanese. Non sono, infatti, così presenti – ad esempio – in Lombardia.

In generale, crede che i latinoamericani abbiano difficoltà ad integrarsi?

Non direi. Probabilmente, sono leggermente favoriti rispetto ad altre popolazioni, specie sotto il profilo della lingua e delle religi0ne, quindi sul fronte della condivisione di alcuni valori. Tuttavia, il vantaggio, come le ricerche ha dimostrato non è così significativo. 

Cosa intende?

La variabile etnica non è  determinante rispetto alla diversa collocazione lungo il percorso dell’integrazione. L’elemento più importante è l’anzianità migratoria. Chi è in Italia da più tempo riesce meglio a sfruttare le opportunità che gli si presentano.

C’è  il rischio, tornando alle gang, di commistioni con la criminalità organizzata?

Nel momento in cui ci sono bande che accettano di saltare oltre il confine delle regole, e c’è qualcuno che ha bisogno di manovalanza a basso costo che non si faccia problemi di giustizia o legalità, è certamente facile reclutarla in questi settori.