Con la Giunta Pisapia muore formalmente la sussidiarietà? Un tempo è stata la parola nuova che accompagnava l’intelligenza della Pubblica Amministrazione. Nel bisogno, dato che interveniva direttamente con soggetti la società civile, lo Stato o le Istituzioni, rinunciavano a costose iniziative dello stato, mentre valorizzavano quanto veniva fatto dalla società civile, con Associazioni e la grande cooperazione sociale. E’ pur vero che il proliferare di Associazioni ha messo in crisi il Terzo Settore. Spesso la libera iniziativa personale è intervenuta nell’ambito sociale con progetti nuovi, pretendendo poi il “sostegno” del pubblico. Sono nati i “progettifici” per tutti, …soggetti diversi per sostenere un’opera chiedono un progetto innovativo, sempre nuovi progetti.



Così a seguire sono sorte nuove professioni, quella dell’estensore di progetti sociali, culturali, sanitari, che sa usare le parole giuste e di moda per entrare nella quota vincente – i progetti vengono infatti votati per ogni virgola o capitolo, obiettivi, analisi di contesto, strutture, personale, risultati attesi , ecc…– ed esperti di rendicontazione, commercialisti dedicati a leggere le voci di costo e a inserirle in modo documentabile nel progetto. Ma i limiti del progettificio è che si deve trattare di una iniziativa nuova, di un intervento che si inserisce nell’attualità con creatività. Si progetta la cosa nuova e poi finito il periodo attuativo, chi l’ha proposto che fa? O continua …senza sostegno…o cerca altri sostegni- che non trova trattandosi di progetto concluso- mentre più spesso apre un altro, nuovo progetto, con tante parole nuove, per continuare a fare la vecchia iniziativa.



Si tratta di una cosa abbastanza nuovo da riprendere certi contenuti del vecchio e farlo vivere. Il tutto nel silenzio di tutti. Il non profit accetta questo stato di cose per provare a vivere. I bandi si aprono e si chiudono da parte di Fondazioni e Pubblica Amministrazione con quel “carattere di innovatività” che ho sopra descritto. Un’opera piccola o media ( con 5 – 10 operatori) che non vanta sostegni economici da parte di “poteri economici o mediatici” forti, passa da progetto a progetto, con la speranza di resistere al tempo.

Indubbiamente il sistema fa cadere le iniziative improvvisate, ma la sussidiarietà prevede che una opera civile buona, e valutata positivamente dalla società sia durevole e sia sostenuta. La giunta milanese ha già fatto sapere che non sa che farsene dell’Accreditamento di Moratti memoria. Anzi ritiene che erogando quattrini per servizi le opere sono, di fatto, un secondo braccio del intervento pubblico. Così il Comune di Milano non assume personale e si avvale di mani e reti non profit, che però devono attrezzarsi ed organizzarsi come il Comune richiede.



 

Una sussidiarietà truccata. Altre opere molto affermate- pensiamo alla Associazione per la Ricerca sul Cancro di Veronesi – vantano fondi e mille attenzioni finanziarie un po’ da tutti. Ce ne sono molte: Emergency era a Zelig, altre sono nel cuore della comunicazione televisiva ogni giorno. Normalmente si sostengono le opere che aiutano i bambini e i malati di malattie note o molto particolari. Ci sono anche le Associazioni animaliste ed ambientaliste, ma in numerosità minore. Queste spesso trovano testimonial televisivi e riescono a fare del Fund Raising in modo tecnicamente perfetto, con tutti gli item di marketing ben presenti. Ci sono poi i corsi per le piccole associazioni.- che pagano per farli – per raccogliere fondi: ma la teoria è perfetta, ma in Italia scarsamente applicabile.

 

Quale benefattore è disposto a dare? Infine la neonata Responsabilità Sociale, con cui le Aziende si fanno belle aiutando qualcuno e gratificandosi per la ricchezza sociale creata. Che cosa resta del sostegno al Terzo Settore nella sua completezza? Se la sussidiarietà è un tema di fondo della politica, se è vero che la società civile sa operare per il bisogno e lo ha dimostrato da secoli – basterebbe andare alla storia dei Grandi Ospedali o delle Opere Caritatevoli che hanno attraversato i secoli – è solo la miopia politica diffusa che è incapace di valorizzare ciò che c’è e aiuta. La formula: “aiuta chi aiuta” dovrebbe sostenere tutta la politica italiana.

Non ha senso valorizzare e incentivare solo progetti nuovi, occorre valutare, capire e conoscere la realtà per verificare la bontà di tante iniziative. Vi sono realtà sociali a Milano che da più di 30 o 40 anni hanno dimostrato dentro la società di essere stimate e valorizzate dalla gente, soprattutto da quelle persone fragili che sono oggetto di tanto lavoro. La pubblica amministrazione davanti a questo effettivo riconoscimento che fa? Vuole rimetterle al suo servizio o abbandonarle senza aiuti. Pretende spesso che modifichino il loro percorso consueto e vincente con” progetti nuovi”, perché è il Comune e la PA che ha bisogno di imporre la propria caratura. In questo contesto ormai molto dissestato anche l’Istituto regionale ha i suoi contraccolpi e i suoi progettifici. Manca da molto una “visione” sulla vita sociale in Lombardia.

 

Mancano i soldi, – ma veramente è per quello ? – che è sparito quasi del tutto il Buono Scuola ed il sostegno per la famiglia che vuole mandare i figli alla scuola paritaria. Ora il Buono è una sorta di Social Card che è riservata a quelli dal reddito basso. Quelli che sopravvivono devono impoverirsi per beneficiare di tali provvidenze. La scuola paritaria è per ricchi o poveri. Gli altri fuori! Gli accreditamenti come filosofia di rispetto per le associazioni sono materia complicata, i requisiti sempre più stringenti. Da una parte il Governo Monti liberalizza per permettere la costituzione di Società a Responsabilità Limitata per giovani, con 1 euro, dall’altra i requisiti per una O.N.L.U.S sono una schiera crescente di adempimenti, di doveri, di impegni contrattuali.

 

Questo doppio binario tra soggetti Non Profit già ricchi e le medie associazioni, che non hanno neanche una rappresentatività sindacale – chissà se Madre Teresa aveva una Confederazione o una Lega di riferimento ? – sta ammazzando, in assenza di denaro, tanta solidarietà, tanta capacità e tanto volontariato. Dall’altra la Pubblica Amministrazione, la lombarda in modo particolare, ha deciso di seguire una deriva statalista che prevede un omogeneo trattamento per coloro che sono impegnati in azioni sussidiarie. In questo lo statalismo di molte forse politiche lo documenta. Basta leggere i giornali.

Tra progetti e silenzi … viene meno la sussidiarietà. Certo i soggetti li si ascolta: basta andare in un Consiglio di Zona a Milano e si assiste alla sfilata di coloro che hanno bisogno, chi di un teatro, chi di un piccolo contributo per fare attività di sostegno scolastico ai bambini che ne hanno bisogno, o per fare una iniziativa culturale. In questo caso l’Istituzione locale, che non ha quattrini, concede l’importantissimo patrocinio, che permette alla associazione di fregiarsi di un titolo “democratico” – perché votato da tutti – una medaglia da apporre sul volantino – con forse un accesso a una tipografia gratuita o a un teatro. (i più fortunati!)o un contributo simbolico.

 

Varrebbe la pena che ci si facessero poche domande sul ruolo e la relazione tra sussidiarietà e terzo settore:

 

A che servono i progetti?

 

Servono per fare una selezione naturale?

 

Perché la PA, o gli estensori di bandi, non iniziano a guardare la realtà, così come è e sanno valutare l’opera che la società civile premia attraverso la partecipazione e la frequenza e non sostiene le iniziative nate e viventi senza pretendere altra novità che la presenza?

 

Perché non esiste una forma di collaborazione tra erogatori di fondi, in modo che non vi sia un esagerato sostegno per un’opera e una assenza per un’altra.

 

Una banca dati delle realtà della società civile non c’è. I registri per costituire una O.N.L.U.S. a che servono?

 

In fondo se la sussidiarietà non è un programma politico, nemmeno nel programma del governo Monti, a chi interessa?

 

La criticità c’è ora occorre una serio ripensamento e un vero contributo anche propositivo ed esemplificativo. Non servono le teorie dei dibattiti ma le testimonianze.