Caro direttore,

Come sai Gianni Credit non si è laureato e tanto meno ha potuto insegnare all’Università Cattolica, come tanti amici della “community” del Sussidiario: giornalisti, collaboratori, lettori. Ma chi qui scrive conserva un sincero “desiderio” per non averlo potuto fare. La categoria umana del “desiderio” è tratta direttamente dalla pedagogia di don Luigi Giussani – servo di Dio – che alla Cattolica ha insegnato per 26 anni. Un quarto di secolo di giornalismo a Milano mi ha insegnato a non lasciare mai trascorrere una sola settimana senza soddisfare il “desiderio” di attraversare l’ingresso di Largo Gemelli: per un seminario in aula Pio XI o in Cripta; per un incontro informale, non importa presso quale docente di quale facoltà; anche solo per passeggiare con amici nei chiostri. Non ci sarà il gigantesco “Jesus touchdown” graffitato sopra il megastadio dei “Fighters” a Notre-Dame, al di là dell’Atlantico. Ma all’ombra di Sant’Ambrogio la capacità della Cattolica di riaccendere ogni giorno la cultura della fede nella modernità del (mai) Vecchio Continente resta unica. Il magistero vivo della Chiesa – da Papa Pio XI a Benedetto XVI – diventa limpido (non solo per l’Italia) se riascoltato attraverso il “lavoro culturale” del Sacro Cuore: al di là e al di sopra del fango scagliato contro il vecchio-giovane ateneo milanese da macchine costruite e mosse fuori dalla Chiesa. Non per caso le offese reiterate e intenzionali contro la Cattolica durano da anni: da ben prima che la “crisi” (“tempo della prova e della scelta”) investisse la stessa Santa Sede (Quelle offese hanno spento nel frattempo anche la voce del collega Dino Boffo: un grande “giornalista cattolico”, assai più che “cattolico giornalista”). “Nella misura in cui le scienze empiriche monopolizzano i territori della ragione, non sembra esserci più spazio per le ragioni del credere, per cui la dimensione religiosa viene relegata nella sfera dell’opinabile e del privato”: lo ha detto Papa Ratzinger, meno di un anno fa, in aula Paolo VI, “a dirigenti, docenti, studenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore”. 



Non era un lamento: era (è) un appello, un invito paterno, un augurio a essere sempre segno di contraddizione contro tutto ciò che è “opinabile e privato”. 

E che non nasce mai dentro la comunità cristiana: ma tra chi – da fuori – continua a volerla combattere, offendere, ingannare, distruggere.



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