La sera del 19 marzo del 2002 veniva assassinato a Bologna l’allora consulente del Ministro del Welfare Maroni, il professor Marco Biagi. Il terrorismo di matrice ideologica rialzava la testa nella vita democratica italiana. Per fortuna la storia degli anni a seguire prese una piega diversa da quella paventata da molti durante quelle tragiche ore. Il lavoro e le idee di Marco Biagi sarebbero state raccolte e portate avanti per riformare il mercato del lavoro e offrire nuove possibilità in un Paese che aveva una percentuale di disoccupati intorno al 12%. Grazie alla legge Biagi in pochi anni si scese al 7%. Oggi rimangono aperti tanti problemi, a cominciare dalla disoccupazione giovanile e dall’uso distorto che spesso si è fatto delle nuove tipologie contrattuali pensate proprio per loro. Tuttavia quell’esperienza di studio e riflessione applicata alla politica ebbe indubbiamente il merito di riaprire i giochi in un ambito per il quale ci davamo tutti per “spacciati”.



Tra gli anni ’90 e il 2000 l’Europa invitava i paesi membri «a praticare un partenariato istituzionale e sociale su base locale per realizzare servizi per l’impiego a misura delle effettive caratteristiche del mercato», come spiegava proprio Marco Biagi. E in un articolo del 3 luglio 2000 si chiedeva: «C’è in Italia qualcosa del genere? Almeno in un caso la risposta è affermativa: si tratta dell’intesa “Milano Lavoro”». Il giuslavorista di Bologna ne parlava con cognizione di causa essendo stato chiamato dalla seconda Giunta Albertini a occuparsene in qualità di consulente. A pochi mesi dall’avvio dell’intesa del febbraio 2000 Biagi annotava che «si è perso troppo tempo a disquisire degli spazi di flessibilità consentiti per i progetti di occupazione aggiuntiva validati in sede concertativa. Si è così perso di vista forse l’esperimento più importante, quello di un Comune che in convenzione con la Provincia (ciò che la legge consente tranquillamente) e in armonia con la Regione sta realizzando uno “sportello unico” specializzato nel reinserimento delle categorie più a rischio di esclusione sociale». Ed ecco che quel Patto di Milano aveva come prima preoccupazione proprio quella di immettere nel mercato del lavoro le fasce di popolazione urbana fino ad allora fortemente marginalizzate, quali gli extracomunitari, i giovani, i momentaneamente inoccupati e i 40enni che avevano interrotto improvvisamente il percorso lavorativo. Fu un importante esperimento e, come sottolineò allora lo stesso Biagi, «l’esperienza applicativa dei primi mesi evidenzia un valore aggiunto costituito dalla logica della “pressione tra pari”. Le diverse associazioni imprenditoriali non possono infatti sottrarsi (a pena di perdere credibilità) all’impegno di presentare progetti per realizzare nuova occupazione a Milano». E come spesso accade nella storia del nostro Paese, la città di Ambrogio divenne un vero e proprio laboratorio che fece da apripista alle politiche nazionali sul lavoro e sull’occupazione che, da lì a poco, proprio Marco Biagi avrebbe scritto nel Libro Bianco del secondo Governo Berlusconi. 



A seguito della sua vile e drammatica uccisione rivendicata dalle nuove Br, il Comune lo volle ricordare dedicandogli un Ambrogino d’oro alla memoria e, nel maggio 2002, un Osservatorio sulle attività economico-produttive. Lo scopo di quel nuovo organismo fu quello di monitorare le attività e la qualità dell’occupazione nell’area metropolitana, ma soprattutto di fornire alle parti sociali coinvolte nel Patto un sostegno culturale ed una conoscenza il più possibile oggettiva della realtà milanese, per costruire insieme interventi adeguati alle reali esigenze. Nel solco dell’esperienza umana e professionale di Marco Biagi, insomma, il Comune cercava di superare le contrapposizioni ideologiche in vista di soluzioni pragmatiche che tenessero conto del bene e del futuro delle persone in carne ed ossa.



Mi chiedo solo se per Milano non valga la pena riconsiderare quella importante esperienza per replicare oggi con un insieme di misure che, come allora, possano costituire un modello per il resto del Paese. In sede di bilancio, per esempio, si potrebbero prevedere vantaggi fiscali per chi assume giovani. Si potrebbe anche destinare qualche risorsa per supportare le imprese nella creazione di posti di lavoro con una sorta di task force che faccia chiarezza sulle ultime leggi in materia di assunzioni, faciliti le piccole e medie aziende nel creare quel mix necessario tra formazione e avviamento al lavoro, aiuti nella costruzione di percorsi di inserimento personalizzati, monitori e raccolga le migliori pratiche. Questo sarebbe un grande omaggio ad una figura come quella di Biagi e il miglior modo per tornare a fare di Milano quel laboratorio privilegiato di idee e progetti per l’Italia intera.