E’ di qualche settimana la notizia che la Giunta di Milano intenderebbe istituire un Registro delle Unioni civili, finalizzato essenzialmente a “vincere le discriminazioni” e ad estendere a coppie di fatto, eterosessuali ma anche omosessuali,  le sovvenzioni e i servizi che il Comune già eroga alla famiglia legittima.



La notizia è tanto generica quanto di impatto: in questo modo infatti la Giunta guidata da Pisapia si caratterizza per essere una giunta progressista, vicina ed amica di quella parte del Partito Democratico che si riconosce in una determinata tavola di valori, nell’ambito della quale la difesa dei diritti degli omosessuali assume una importanza preminente. Si tratta dunque in primis di una scelta di campo, valoriale e politica, cui va aggiunto – naturalmente – un forte impulso a differenziarsi da valori più tradizionali, sostenuti- tra gli altri – anche dal mondo cattolico. L’elemento identitario dell’annuncio si delinea, così, con chiarezza: nel profilo culturale della Giunta stessa (o di parte di essa) si inscrive un pro e un contro, senza possibilità di equivoci.  Pro qualcosa/qualcuno, contro qualcosa/qualcuno.



Molto di più non si può dire, data la incertezza che circonda le caratteristiche concrete del provvedimento. E’ vero che, in generale, la tendenza a omologare famiglia legittima e famiglia di fatto è ormai consolidata, pur con le molte differenze che ancora sussistono a tutela, soprattutto, della parte più debole della coppia (mentre tutelati sono a pieno titolo i figli) ; è vero altresì che vi sono segnali sul piano internazionale di un favor all’estensione del matrimonio (o di figure analoghe) anche alle coppie omosessuali. E’ vero che, in forza della libera circolazione dei lavoratori, coppie omosessuali riconosciute nei Paesi UE possono avanzare diritti al riconoscimento anche in Paesi che non conoscono tali istituti.



Tuttavia, se tale processo dovrà avere una fine ed una sanzione, essa dovrà essere sancita dal legislatore sul piano nazionale, visto che le Regioni per ora non hanno competenza a incidere sullo stato civile delle persone; e anche quelle che ci hanno provato in sede di revisione dei loro statuti si sono visti rispondere dalla Corte Costituzionale che si tratta di scelte riservate al livello statale.  Men che meno potranno essere competenti i Comuni, che dispongono sì di rilevanti poteri in sede di organizzazione dei registri di stato civile e di erogazione dei servizi di welfare, ma che non hanno potere di contravvenire – nell’esercizio delle loro funzioni- alle leggi nazionali.

Tutto ciò posto – e sono premesse rilevanti -come potrà essere configurato il Registro e che conseguenze giuridiche si potranno trarre dalla eventuale iscrizione in un Registro delle Unioni civili? Chi potrà iscriversi? Si dovrà trattare di due residenti o di uno solo? Varrà per l’iscrizionela sola autocertificazione, una semplice dichiarazione resa dalle due (o più) persone di essere “legate da un vincolo affettivo”? Da quanto deve durare il vincolo per poter essere validamente registrato? Tutte questioni da non sottovalutare per il loro impatto savo che accada anche a Milano quanto è successo in altri Comuni, che hanno chiuso il Registro per mancanza di iscrizioni. La cancellazione, ovviamente, dovrà/potrà conseguire solo ad opera di una parte della coppia, che non potrà certo trovare opposizione significativa nell’altra; che dire poi di eventuali cambi di residenza? Fine dell’Unione? Si rischia davvero di creare situazioni paradossali, per non dire kafkiane.

Quanto alle conseguenze giuridiche, anch’esse andranno definite. Se si tratterà di accedere a provvidenze o servizi di welfare, occorrerà prendere le dovute precauzioni affinchè la registrazione non diventi un passepartout. Già ora le persone bisognose possono accedere a tali servizi, senza dimostrare di essere sposate o “registrate”. Si vogliono moltiplicare gli aventi diritto? E a che condizioni? Che dire, ancora, della possibile concorrenza tra famiglie legittime, di fatto e coppie solo registrate? Concorreranno tutte a parità di condizioni per l’accesso ai benefici? Non ridonderà una tale generosa larghezza a scapito della famiglia in quanto tale?

Come si vede, le questioni sono apertissime e non poco problematiche, da molti punti di vista, incluso quello costituzionale, a norma del quale esiste una famiglia naturale/tradizionale che non dovrebbe essere bypassata da altre formazioni sociali. E, comunque, se questo – malgrado tutto –  dovesse avvenire, che almeno avvenga sul piano dell’eguaglianza che viene sancita e tutelata dalla Costituzione e dalla legge e non con provvedimenti a macchia di leopardo, espressivi di una volontà politico-ideologica ma di assai ardua realizzazione, anche solo applicando il normale buon senso.