Una scusa vale l’altra. Questa volta, una quarantina di studenti, per dar sfogo alla propria rabbia repressa, hanno occupato una scuola e giustificato il loro gesto con la solidarietà nei confronti dei No Tav. Furori ideologici instillati nelle loro giovani menti, probabilmente da altri, han fatto sì che, alle sei e mezza di mattina, facessero irruzione nel liceo artistico Brera di via Hajech, per poi appendere striscioni con la scritta “No Tav”. Fino a quando, a metà mattinata, non sono intervenuti 8 agenti della Digos, hanno impedito a tutti gli altri studenti e ai professori di entrare nell’edificio. Tra di loro, molti erano militanti del centro sociale Il Cantiere. Abbiamo chiesto a Innocente Pessina come interpretare la vicenda.
Anzitutto, cosa ne pensa dell’accaduto?
Il giudizio è lo stesso per qualunque occupazione. Uno può avere tutte le ragioni di questo mondo, ma si devono far valere in altro modo. Si tratta pur sempre di un’interruzione di pubblico servizio, di una sorta di violenza, e non vi è altra presa di posizione possibile che la censura.
Com’è possibile che un ragazzo passi dalle traduzioni di latino ai centri sociali e, spesso, alla violenza?
Anzitutto, il ragazzo, sebbene di per sé possa essere una persona ragionevole, nel momento in cui si trova nel gruppo può perdere i propri freni inibitori. La sua rabbia facilmente viene caricata e amplificata dalla massa di cui si ritrova a far parte. Si tratta di un fenomeno ormai piuttosto noto. Detto questo, si tende a pensare che il problema risieda negli studenti quando, in realtà, prevalentemente, è originato dagli adulti. La loro incapacità di dialogo e ascolto, infatti, facilita questi fenomeni.
Cosa intende?
Le cito due aneddoti: tempo fa i muri del Berchet vennero imbrattati. Ebbi una “soffiata”. Scoprì che l’autore del gesto era un mio ex studente. Oltretutto, lo aveva compiuto in un orario in cui, di norma, chi ha una famiglia attenta non sta in giro: alle 6 di sabato mattina. Chiamai il padre del ragazzo. Senza alcuna intenzione ritorsiva, mi limitai a segnalarli che avevo saputo che il figlio era tra i responsabili dell’imbrattamento. La sua risposta fu agghiacciante. Mi disse: “Lei non ha alcuna prova”.
L’altro aneddoto?
Una volta fui costretto a fare una multa ad una ragazza che era stata sorpresa a fumare. Il padre, avvocato, venne a contestarmela.
Cosa vuol dire con questi esempi?
Che, spesso, i problemi nascono dal fatto che i genitori assumono, nei confronti dei figli, un ruolo da sindacalisti quando questi, invece, avrebbero bisogno di regole e riferimenti autorevoli. Che ragazzi così, poi, finiscano in centri sociali o compiano atti violenti difendendo le ragioni dei no tav, purtroppo non stupisce più di tanto.
Trova, tuttavia, possibile che un centro sociale possa interloquire positivamente con il mondo scolastico?
A Milano, in occasione della cogestione, ci sono stati dei casi in cui con alcuni centri sociali abbiamo avuto momenti di scambio e confronto reciproco. Alcune militanti sono venuti a raccontarci il proprio mondo. Ma con gran parte di essi, e il Cantiere è uno di questi, è pressoché impossibile ragionare, perché hanno nell’antagonismo a tutti i costi l’unica ragion d’essere. Questo, nonostante, da parte nostra, ci sia massima apertura. Sono convinto, infatti, che le scuole debbano conoscere e rapportarsi con il territorio di cui fanno parte.
In che modo?
I miei studenti, in 4 giorni di cogestione, hanno organizzato ben 72 incontri. Hanno invitato, ad esempio, il sindaco Pisapia, l’assessore Boeri, Pagano per le carceri, esponenti dell’Expo, o alcuni writers. Perché è importante conoscere l’aoristo greco o la terza declinazione. Ma l’educazione consiste anche nel confrontarsi con la realtà e, quindi, con il territorio.
Nella dinamica che lei ha descritto, è pur sempre la scuola il punto da cui parte l’iniziativa. Esistono realtà, enti, associazioni e fenomeni aggregativi in grado di influire sulla vita dello studente e dai quali provengano proposte positive per la scuola?
Si, ma, salvo rari casi, non si tratta dei centri sociali. Con il Leoncavallo, ad esempio, c’è stato qualche scambio proficuo. Ma l’offerta è sempre partita dalla scuola. Ci sono, al contrario, moltissime associazioni che contribuiscono, di loro spontanea iniziativa, al bene della scuola. Due su tutte: L’Amico Charly che aiuta, preservandone l’anonimato, gli studenti in particolare difficoltà; e Portofranco che, gratuitamente, aiuta i ragazzi, dopo le lezioni, nello studio.