Questa sera al Teatro Manzoni di Monza, alle 21, andrà in scena uno spettacolo molto speciale. Il Comune ha infatti deliberato di intitolare una sala del teatro a Emanuele Banterle, che lo ha diretto fino al giorno della sua morte, il 16 settembre del 2011. Per l’occasione tutti noi che lo abbiamo accompagnato durante la vita ci troveremo a parlare di lui, raccontando la sua storia attraverso un recital di brani teatrali (ci saranno, tra gli altri, Franco Branciaroli e Lucilla Morlacchi), spezzoni di filmati, immagini, canzoni e testimonianze.
Come sempre accade per le persone veramente grandi, è probabile che noi amici non siamo riusciti a invitare tutte le persone che hanno avuto a che fare con lui e gli volevano bene. Di questo domandiamo scusa fin d’ora.
Le biografie sono l’opera di un occhio estraneo, e si occupano di ciò che si vede sulla superficie di una persona, accontentandosi di immaginare, per approssimazione, quello che c’è dietro.
Quella di Emanuele ci parla del suo amore giovanile per il teatro, che lo portò a fondare, giovanissimo, una compagnia amatoriale. A vent’anni fu assistente alla regia di Maurizio Scaparro, lavorò con Orazio Costa, progettò uno spettacolo tutto suo, Le sedie di Ionesco.
Venne poi l’incontro con Giovanni Testori, che gli affidò la regia del suo nuovo testo, Interrogatorio a Maria.
Il giorno della “prima”, Emanuele non aveva ancora ventitré anni. In seguito, con Testori, fondò la compagnia teatrale de “Gli Incamminati”, alla quale si aggregò, un anno più tardi, Franco Branciaroli.
Per anni Emanuele alternò la regia, la direzione artistica e l’attività di produttore. Gli spettacoli memorabili che senza di lui non si sarebbero mai realizzati sono troppi da enumerare qui. Ricordo Factum Est e In Exitu di Giovanni Testori, alcuni spettacoli per il Meeting di Rimini tra cui un meraviglioso Miguel Mañara, una grande Medea di Euripide per la regia di Luca Ronconi, e una magnifica Vita di Galileo che riporta il testo al pensiero originale di Brecht dopo le forzature della versione, peraltro molto importante, di Giorgio Strehler.
Emanuele è stato, tra l’altro, Vicepresidente dell’Ente Teatrale Italiano e del Piccolo Teatro di Milano, e ha diretto diversi teatri italiani, fornendo la sua preziosa consulenza ad altre rassegne, come l’Estate Teatrale Veronese.
Ma soprattutto Ema era una persona speciale. Ce lo ha dimostrato affrontando ogni istante della sua lunga e terribile malattia con una dignità e una serietà che sono state, per noi amici, una scuola meravigliosa di fede e di umanità. Come ebbe modo di dire lui stesso, la malattia aveva messo a nudo l’uomo, rivelando il suo vero bisogno, la natura del suo grido a un “Tu” che è la sola possibile salvezza.
«Questa circostanza – ha detto prima di morire al cappellano dell’Istituto dei Tumori – mi ha fatto avere uno sguardo nuovo sulla realtà, che non avevo mai avuto. Se mi chiedessero di riaffrontare e rivivere questa malattia, non so se direi di no, tale è stata la portata di questo cambiamento».
Ho riletto queste parole centinaia di volte, e la cosa che mi stupisce di più è la loro durezza. Non c’è in esse nulla di sentimentale, nessuna illusione: la speranza, incrollabile, ha la stessa forza della realtà, il cambiamento è della stessa materia di cui è fatta la realtà.
Da sano e da malato, Emanuele non ha mai smesso di esortare noi amici affinché non dessimo nulla per scontato. Perciò non temo questa serata. Sono serate pericolose, lo sappiamo: scivolare nella celebrazione significa sempre, poco o tanto, allontanarsi un po’ di più da una persona cara, essere un po’ più consapevoli che lui, adesso, non c’è più.
Ma se penso alle ultime ore della sua vita so che non sarà così. Fino all’ultimo è stato sé stesso, è stato l’Emanuele che avevo conosciuto da ragazzo, l’amico per me più importante, quello che più di tutti ha segnato la mia vita e continua a segnarla. Mi correggo: è stato sé stesso, ma più grande, più imponente, come se si servisse della propria stessa debolezza per abbandonare tutto ciò che era inutile.
Questa sera si parlerà di lui, limitando il più possibile le celebrazioni, che lui ha sempre detestato. Tra l’altro devo dire che mi manca enormemente il suo stile. Spero che stasera si parli anche di quello. In un mondo in cui tutti sembrano volersi accalcare sulla ribalta, sotto i riflettori, anche solo per un istante, Emanuele c’insegna cosa vuol dire tenersi in disparte, ma stando attenti a tutto, e guardare le cose con la giusta ironia, un’ironia buona, fiduciosa nel “volto buono del Mistero”, che il tempo – nella sua suprema ironia – sa svelare sempre al momento giusto.