“Ci avevano detto fino all’ultimo che il bimbo che aspettavamo era un bimbo bello sano, nessun problema ci dicevano”. A parlare è Simona, la mamma di Gabriele un bimbo nato nel maggio 2005 con una malformazione molto rara, chiamata estrofia vescicale. Una malformazione che comporta l’assenza della parete anteriore della vescica, della parete addominale corrispondente e dell’uretra. Ma Gabriele ha anche altri problemi. Questa malformazione infatti si presenta diversa quasi in ogni caso. Quello di Gabriele è uno dei peggiori: il pancioni del bimbo risulta quasi completamente squarciato, aperto: mancano completamente le vasche urinarie e anche il pene è appena abbozzato. Simona e Mauro si trovano davanti a un figlio in queste condizioni, ma quello che è peggio, come ha raccontato Simona a IlSussidiario.,net, che nessuno dei medici e degli infermieri presenti in sala parto quella sera capisce davanti a che situazione si sta trovando: “Dall’ombelico in giù aveva il pancino completamente aperto” dice Simona “con la vescica di fuori e questo lembo di pene”. Fortunatamente la pediatra dell’ospedale si attacca al telefono per chiedere aiuto e trova un chirurgo, dell’ospedale del Bambino Buzzi di Milano, che capisce cosa sta succedendo: si tratta di estrofia vesciale, una malattia rarissima. Cominciano gli interventi per salvare la vita del bimbo, Gabriele. “Era la sera del 22 maggio” ricorda Simona. “La festività di Santa Rita. Abbiamo chiesto aiuto a lei e siamo stati esauditi: due ore dopo Gabriele era al Buzzi sotto ai ferri di questo medico che con un intervento di otto ore gli ha salvato la vita e cominciato a sistemare la vescica”. Un miracolo, dice la mamma e di piccoli miracoli sarà ricca la vita straordinaria di questo bambino i cui genitori non si sono mai persi d’animo, “confidando nella preghiera e negli amici”. Ne è nata l’Associazione Amici di Gabriele che offre sostegno e informazioni ai genitori che hanno bambini colpiti da malattie rare. E che chiede apertamente un aiuto di tutti, magari attraverso il 5 per mille.
Simona, ma questo tipo di malformazioni non si possono capire prima della nascita?
Si può eccome, basta fare un esame molto semplice che dovrebbero fare tutti i ginecologi, la cosiddetta morfologica. Un esame che si fa al quinto mese proprio per capire il corretto funzionamento della vescia e dei reni che in un quarto d’ora permette di capire se tutto è a posto. Evidentemente la ginecologa che ci seguiva della clinica Mangiagalli, peraltro un nome anche piuttosto noto, aveva pensato bene di non farla continuando a dirci che andava tutto bene.
Immagino che razza di shock sia stato al momento della nascita del bimbo.
Direi che è stato il momento peggiore della mia vita. Ma lo shock maggiore fu vedere che nessuno in sala operatoria sapeva di cosa si trattava né sapeva dirci cosa ci sarebbe aspettato. Non sappiamo quantificare la malformazione, ci dissero in faccia. Poi il trasferimento al Buzzi e l’intervento di otto ore. Anche qui dopo l’operazione ci dissero che non potevano dirci come sarebbe andata, se sarebbe sopravvissuto. Invece dieci giorni dopo era già fuori della terapia intensiva.
E’ vero che in Italia non ci sono centri specializzati per questo tipo di malformazioni?
Ce ne sono due, uno è il Bambin Gesù a Roma l’altro una clinica a Padova. In realtà questo tipo di malformazioni sono così diverse una dall’altra che molte non si riesce a curarle qua in Italia. Ci sono casi che si presentano con una piccola cicatrice di pochi millimetri sulla pancia del bambino, altri che si presentano come uno squarcio che fa il giro di tutto il corpo fino a toccare la spina bifida. Il caso di Gabriele ad esempio è uno ogni circa 50mila. Addirittura questa malattia è così rara che il nostro ministero della salute non la contempla neanche nell’elenco delle malformazioni rare.
A questo punto siete dovuti andare all’estero, negli Stati Uniti.
Esatto. Fu il dottor che aveva operato Gabriele al Buzzi a consigliarci così. Fino a qualche anno fa esisteva un ottimo centro a Marsiglia in Francia, ma lui ci consigliò il John Hopkins Hospital di Baltimora. Abbiamo fatto una prima visita conoscitiva e Gabriele è diventato il paziente numero 904. Adesso siamo a quota circa 1100, i bambini arrivano da tutto il mondo. In ambulatorio siamo tanti pazienti quanti interpreti, l’ospedale infatti dà l’interprete per ogni paziente di qualunque Paese al mondo.
Quante operazioni in tutto ha fatto Gabriele?
Oltre a quella alla nascita ne ha fatta una a 15 mesi per la ricostruzione del pene, una 3 anni che ha apportato un miglioramento della funzionalità del pene e quella particolarmente impegnativa lo scorso anno che ci ha tenuti due mesi negli Stati Uniti. Un intervento di 10 ore in cui aprendolo fortunatamente hanno trovato una malformazione all’intestino, che hanno sistemato. Dopo questa ultima operazione si è ritrovato ad avere ricostruito il collo della vescica. Nel frattempo grazie al programma di assistenza del Joh Hopkins negli ultimi due anni la vescica è cresciuta di molto. Morale la sua vescica è adesso come quella di un bimbo senza problemi ed è un miracolo. Il 90% dei bambini infatti subisce un ampliamento con tessuti presi dallo stomaco o dall’intestino invece lui è riuscito a diventare continente senza alcuno di questi interventi.
Dovrà fare altre operazioni?
Adesso è continente. Teniamo conto che lo sfintere non era collegato al cervello per cui il suo modo di percepire lo stimolo è un senso di pienezza. Ma quando lo percepisce deve andare in bagno entro 5 secondi. Di giorno si può fare, ma di notte è ancora prematuro puntare la sveglia circa ogni due ore così dorme con il pannolino. La rieducazione prevista nei prossimi anni prevede di farlo diventare indipendente dal pannolino.
Per cui una buona prospettiva.
In realtà c’è una fase critica intorno agli 8 o 9 anni, perché spesso subentra un problema ortopedico. Alla nascita Gabriele infatti aveva l’osso pubico aperto: glielo hanno ricucito, ma il problema con la crescita repentina dell’età potrebbe riaprirsi. Infine molti bimbi non arrivano ad avere l’erezione e ad avere problemi idraulici, insomma problematiche diverse Il nostro dottore americano ci rassicura dicendo dice che lui ha 19 pazienti padri, anche se su 904 non è questo gran numero. Ma stanno facendo fatti da gigante sulla cura della malattia, siam speranzosi.
Gabriele come ha reagito psicologicamente a tutte queste operazioni e alla sua situazione? Adesso ha quasi 7 anni.
E’ un bambino amatissimo dagli amici e gioiosissimo di vivere. Come genitori abbiamo cercato di trasmettergli una positività nella sofferenza. E’ un bambino sereno, contento di vivere e di quello che è. Oltre alle operazioni teniamo conto che ogni anno torna in ospedale a fare esami che durano anche due o tre giorni, esami molto invasivi, ma nonostante questo abbiamo cercato di circondario di amici che hanno dato anche a noi la forza di andare avanti a cominciare dall’associazione che ci ha aiutati economicamente.
Lo Stato contribuisce alle vostre spese ogni volta che dovete andare in America?
Sì, anche se all’inizio sembrava non dovesse esserci un aiuto economico. Poi piano piano le cose si sono mosse, l’Asl ci sovvenziona circa il 60% delle cure. All’inizio le pagavamo per intero. Fondamentale è stata la nascita dell’Associazione amici di Gabriele, nata su consiglio di un amico. Questa realtà ci è servita anche per confrontarci con altri genitori e medici. Poi ci sono altri dottori che invece ci vedono malissimo, non accettano che ci possa essere una realtà medica all’estero migliore di quella italiana e arrivano quasi alle telefonate oratorie nei nostri confronti. All’inizio mio marito andò anche al programma televisivo Buona domenica per chiedere aiuto: il primo preventivo di spese per l’America era di circa 100mila dollari, una cifra per noi insostenibile.
Che cosa fa in concreto l’Associazione amici di Gabriele?
Siamo una realtà ancora molto piccola, in termini di persone e di risorse. Per adesso fiacchiamo da sportello per le altre famiglie poi essendo nella Fondazione Policlinico ogni anno forniamo un opuscolo delle malattie rare e forniamo informazione. Abbiamo sposato il progetto di portare il know out americano in Italia, per tre volte abbiamo fatto fare uno stage su questa malformazione al dottore del Buzzi a Baltimora, il dottore che operò per primo Gabriele, a spese dell’Associazione.
Mi scusi Simona, ho capito bene: a spese dell’Associazione?
Già, e pensi che per fare questo stage deve anche prendersi le ferie perché altrimenti non gli sarebbe possibile farlo. I dottori americani sono visti in Italia come possibili concorrenti non come collaboratori. Un dottore italiano ci ha detto; ma se ci portate via i bambini noi con chi facciamo esperienza.
Siamo a questi livelli… Ma lei, dopo tutta questa fatica e sofferenza, che cosa si sentirebbe di dire a una mamma che domani le dicesse di avere lo stesso vostro problema?
Quello che ho detto ai genitori di una bimba calabra di 4 anni: ho consigliato di non chiudersi in se stessi. Cerco anche di capire se sono religiosi perché per noi la prima fonte di speranza è stata pregare. Però se ciò non fosse io dico sempre di aprirsi a una compagnia, a degli amici, a chi può aver una certa autorità nel sostenere il prossimo. Non chiudersi ma cercare il sostegno perché poi i figli guardano a noi, al nostro modo di stare con gli altri, alla nostra positività per cui a volte anche se ti senti morire davanti a certe diagnosi noi abbiamo sempre trovato negli amici oltre che nella preghiera il sostegno. Questo lo abbiamo trasmesso a nostro figlio e per ora siamo molto contenti di come stanno andando le cose. E’ un bambino sereno e questa è la cosa principale.
(Paolo Vites)