«Posso confermare che Regione Lombardia sta facendo tanto per rilanciare la crescita del sistema produttivo, ultima prova ne è il fatto che il 4 aprile il Consiglio regionale ha approvato il progetto di legge “Misure per la crescita, lo sviluppo e l’occupazione” che contiene una serie di azioni volte a ripristinare le condizioni di crescita per le imprese, per gli investimenti e per l’occupazione, sfruttando tutte le leve e gli spazi di competenza propri». Alberto Brugnoli, direttore generale di Eupolis Lombardia commenta in questa intervista per IlSussidiario.net le parole del governatore Formigoni riguardo il tema della crescita in Regione. «Ad esempio – continua a spiegare Brugnoli – viene incentivata la contrattazione di secondo livello su welfare aziendale, apprendistato e organizzazione del lavoro; è prevista una disciplina che intende agevolare, sotto il profilo amministrativo e tecnico, la realizzazione delle reti in fibra ottica; viene valorizzato il sistema regionale dell’alternanza scuola lavoro; vengono previsti una serie di interventi volti a contenere gli oneri burocratici che gravano su imprese e cittadini».
Resta il fatto che la Lombardia è la seconda regione in Italia, dopo il Lazio, per numero di imprese create (11.530, differenza tra 61.393 imprese nate e 49.863 imprese cessate). Questo significa che la regione non è comunque ferma?
Il sistema economico regionale era e rimane molto dinamico. Il numero di imprese registrate presso le CCIIA supera le 955 mila unità, decisamente superiore a quello di qualunque altra regione italiana. In un anno difficile come il 2011 aver aumentato il saldo di imprese registrate è un risultato significativo e dimostra che c’è dinamismo nella base imprenditoriale, c’è ricambio: anche di fronte ai segnali di contrazione dell’attività economica è maggior il numero di coloro che rischiano, di coloro che ripartono rispetto a quello di coloro che abbandonano. Inoltre, nel 2011, a dispetto della crisi, è rimasto sostanzialmente stabile il numero complessivo di occupati pari a 4.273.000 unità e sono cresciute le esportazioni.
La Regione rivendica anche un altro risultato: l’avere portato i tempi dei pagamenti alle imprese a 60 giorni quando nel resto d’Italia i tempi sono ben più lunghi. E’ vero?
Confermo. Regione Lombardia ha velocizzato i tempi di pagamento alle imprese portandolo a 60 giorni, un fatto che viene tra l’altro riconosciuto dalle associazioni di categoria di settore. Tra gli effetti positivi, possiamo innanzitutto constatare che offrire certezza sui tempi di pagamento non solo migliora i rapporto tra la PA e il sistema delle imprese, ma anche tra queste e il sistema bancario. Credo sia un ottimo segnale per il sistema economico regionale nel suo complesso. Comunque quello del ritardo nei pagamenti è un problema che anche il resto della Pubblica Amministrazione del Paese non potrà non affrontare al più presto se intende realmente favorire un percorso di crescita duraturo.
Il vicepresidente e assessore alle Attività Produttive, il leghista Andrea Gibelli, definisce gli imprenditori lombardi «eroi silenziosi», ma si tratta di una definizione che non raccoglie solo consensi. Cosa ne pensa?
Penso che la definizione del Vicepresidente si sposi con alcuni dati ed evidenze sulle difficoltà che incontrano gli imprenditori nel loro operare quotidiano, difficoltà legate in parte alla presenza di un quadro regolatorio e amministrativo meno favorevole rispetto a quello di altri Paesi avanzati, esito di un sistema Paese che tende a imporre troppe procedure a chi si da fare, a chi si muove, a chi cerca di fare impresa.
Ambra Redaelli, presidente del comitato Piccola industria di Confindustria Lombardia, ha detto di vedere gli sforzi del Pirellone e di apprezzarli, ma dice di aspettarsi un programma più ampio di politiche industriali. Cosa possiamo immaginare per le Pmi lombarde?
Regione Lombardia in questi anni ha fatto molto per le Pmi attivando diversi programmi di sostegno all’internazionalizzazione (come i voucher per la partecipazione alle fiere e alle missioni commerciali all’estero), all’accesso al credito (vedi l’accordo con la BEI per il finanziamento del capitale circolante), all’innovazione (vedi il bando di ricerca promosso in accordo con il MIUR), alle reti di impresa (vedi il programma Ergon), alla semplificazione amministrativa (vedi l’informatizzazione e l’uniformazione delle procedura di avvio d’attività d’impresa). Anche nella nuova legge regionale sullo sviluppo ci sono misure che vanno anche a favore delle Pmi; penso soprattutto alle misure sulla contrattazione decentrata che, se ben sfruttate, possono aiutare a far crescere la produttività del lavoro. Occorre però anche essere realisti: le risorse per le politiche industriali sono limitate e molto dipenderà dal processo di razionalizzazione delle misure di incentivazione allo studio del Governo.
Nonostante la crisi nascono comunque più imprese di quante ne chiudono. E’ un dato di cui stupirsi o era atteso?
Il dato di cui stupirsi non è il saldo in sé, ma che, in un momento di crisi, tale saldo positivo possa realizzarsi in un contesto fortemente industrializzato, dove il numero delle imprese che nascono e che cessano l’attività continua a essere di gran lunga maggiore di quello che caratterizza le altre regioni italiane. Ciò significa che la base imprenditoriale è viva, cerca opportunità, a volte ci riesce a volte no, ma ci prova. È questo l’aspetto a mio avviso più importante. Anche la composizione delle forme giuridiche delle imprese sta cambiando. Cresce il numero delle società di capitali, calano le società di persone e rimane stabile il numero delle ditte individuali. Anche questo a mio avviso è un segnale di vivacità del sistema imprenditoriale.
A cosa è dovuto il saldo positivo del 2011? Forse, come ha detto Enzo Rodeschini, direttore dell’ufficio studi di Unioncamere Lombardia, a quella fascia non trascurabile di disoccupati, spesso giovani, che cerca di inventarsi un lavoro proprio mettendosi in proprio?
Penso che Rodeschini abbia soprattutto in mente l’indagine condotta a livello nazionale dal Centro studi di Unioncamere su un campione di circa 9mila imprese attive nate nel corso del 2011 dalla quale risulta che per il 30,5% dei neo-imprenditori (36,0% tra gli under 35) la motivazione principale per avviare l’impresa è l’auto-impiego. Di questi però solo un quarto (8,1% sul totale e 9,4% tra gli under 35) indica come motivazione la difficoltà a trovare un lavoro dipendente. Mi sembra una percentuale piuttosto ridotta.
Certo non va trascurato il fenomeno, ma mi sembra più adeguato affermare, soprattutto in Lombardia, che la crisi ha agito da moltiplicatore di energie imprenditoriali, favorendo il provare a mettersi in proprio, il fare da sé, in linea con la storia di questa regione.
(Claudio Perlini)