Vanno in fumo le speranze dei residenti milanesi proprietari di case, vanificate dalla decisione del Consiglio comunale che ha bocciato la mozione sull’Imu presentata dal capogruppo del Pdl, Carlo Masseroli. In sostanza, l’ex assessore allo Sviluppo del territorio, considerato il carico complessivo di fardelli aggiuntivi previsti per i cittadini del capoluogo lombardo, aveva suggerito di limare l’imposta. Le amministrazioni comunali, infatti, hanno facoltà di abbassare o diminuire le aliquote base (0,4% sulla prima casa, 0,76% sulle seconde) di un ulteriore 0,2%. E invece, niente da fare. L’assessore al Bilancio Bruno Tabacci ha paventato, laddove le aliquote fossero abbassate, scenari apocalittici, e dissesti finanziari. Leo Spinelli, responsabile milanese del Sindacato Inquilini Sicet di Milano, spiega a ilSussidiario.net come stiano effettivamente le cose. «Va detto, anzitutto, che tra tasse di varia natura, addizionali, e il taglio dei servizi, la situazione per il cittadino medio milanese è sempre più difficile, considerando anche il costo della vita estremamente elevato della Città. Sullo sfondo, si aggiunge la crisi del sistema di welfare a livello nazionale, che ha determinato ricadute profonde sui servizi assistenziali necessari».
A fronte di questo, stupisce il modo in cui sarà utilizzato il gettito. «L’aumento della tassazione sarà funzionale unicamente alla gestione delle spese immediate». Che il Comune abbia problemi di bilancio è noto. Tuttavia, secondo Spinelli, non ha scelto la strade giusta per porvi rimedio. Basti pensare alla cessione di quote di Sea e Serravalle, giudicata da molti una vera e propria svendita. «Ha portato a risultati tutt’altro che apprezzabili. Le quote vendute erano annoverabili tra i patrimoni che producono reddito. Ora: considerato che per il 2013 e il 2014 non è previsto che il bilancio sia in pareggio, e non disponendo più delle suddette fonti di reddito, quali altri patrimoni dovremmo venderci per far fronte alle spese correnti?». Eppure, un’altra strategia era possibile. «Il comune poteva vendere, ad esempio, alcuni beni non considerati particolarmente redditizi, come le farmacie, che da anni non garantiscono un gettito che sia ritenibile, per il Comune, significativo». In ogni caso, anche considerando tutte le esigenze di bilancio, era possibile contemplare pure quelle dei cittadini, modulando l’imposta comunale sugli immobili in maniera differente. «Sarebbe estremamente intelligente individuare una diversificazione. Le aliquote andrebbero aumentate solamente per i beni speculativi. Per le seconde case, cioè, con contratti liberi, molto elevati e per gli alloggi sfitti; andrebbero, al contrario, contenute le aliquote sulle prime case e sugli alloggi affittati a canone contratto».
Resta infine la questione delle rate. Il governo intende consentire al contribuente di scegliere tra due o tre. Tabacci, anche in questo caso, si è mostrato estremamente pessimista, sottolineando come l’ipotesi getterebbe nel caos gli uffici amministrativi, dotati degli strumenti contabili tarati su un’imposta a due rate. «Va detto, effettivamente, che l’applicazione di tre rate sortirebbe diversi effetti negativi sui bilanci comunali, mentre non cambierebbe granché per i cittadini. Bisogna, del resto, ricordare che le aliquote incassate a dicembre, il comune non le riceverebbe in ogni caso prima di gennaio-febbraio».
(P.N.)