Il piano di governo del territorio proposto dalla giunta Pisapia risulta sostanzialmente diverso da quello adottato. Da un semplice conteggio delle righe che compongono le regole del piano emerge che il 70% del testo è stato modificato.

Molte sono le considerazioni che potrebbero essere fatte con riferimento alla mancanza di trasparenza del processo, al carente coinvolgimento dei milanesi, all’interpretazione assai discutibile, a volte ‘allegra’, delle regole del gioco.



Pare però più interessante provare a dare una valutazione sull’influenza che questo nuovo provvedimento avrà sulla città.

Parto da due dati: il prodotto interno lordo della città di Milano è circa 70 miliardi di euro annui;  la spesa corrente del Comune di Milano è circa 2,5 miliardi annui.

Cosa dovrebbe fare un Sindaco? Con quale pensiero dominante dovrebbe andare a letto la notte a risvegliarsi il mattino successivo ?  Individuare tutte le azioni possibili per far si che il PIL cittadino cresca da 70 a 100 miliardi e che la spesa della macchina comunale diminuisca da 2,5 a 1 miliardo di euro.



Cosa ottiene questo piano ? Esattamente il contrario!

Compito di ogni atto amministrativo dovrebbe essere da una parte sostenere chi crea ricchezza (e questa non è una parola immorale !), cioè gli imprenditori, e dall’altra ridurre la burocrazia. Prendo in prestito le parole di Cameron nel discorso fondativo della big society:

‘Ciò significa un cambiamento totale nell’approccio verso il governo e al governare stesso. Il modo in cui le cose sono andate per tanto tempo dall’alto al basso, con controllo rigido e totale è andato spesso a indebolire la responsabilità, l’iniziativa locale e l’azione civica. La regola di questo governo dovrebbe essere: se scatena l’iniziativa delle comunità, dovremmo farlo. Se la ammazza, non dovremmo’



Era esattamente il tentativo del piano di governo del territorio che la giunta Pisapia ha revocato e riscritto. Si basava sinteticamente su tre concetti chiave che ritenevo, e ritengo, che possano sostenere aumento di produzione di ricchezza e riduzione di spesa pubblica: libertà, equità, semplicità.

Libertà: un piano territoriale vincolistico fondato sul sospetto nell’intervento del singolo non può attrarre chi genera ricchezza. Si rende indispensabile un nuovo approccio più aperto, creativo e fondato sulla fiducia. Il libero cambio di destinazione d’uso  e la potenziale ampiezza dell’offerta erano due tra gli strumenti normativi che avrebbero consentito maggiore libertà: ora sono stati disinnescati.

Equità: nel rapporto tra amministrazione e investitore le regole devono essere uguali per tutti, pena ridurre drasticamente la platea degli investitori. E’ questo assunto l’origine dell’indice unico (ogni area genera la stessa quantità di diritti edificatori) e della grande novità della perequazione (i diritti edificatori vengono possono essere costruiti solo dove il governo cittadino lo consente ma possono essere compravenduti). Il piano della giunta Pisapia sterilizza completamente la perequazione e irrigidisce in modo asfissiante le regole per avviare ogni trasformazione. Si dice che questo serva a garanzia dell’interesse pubblico ma la realtà dimostra il contrario. Le regole sono talmente inapplicabili che ogni vera trasformazione ha bisogno di deroghe da definire con l’assessore o con il funzionario di turno: meno attrattività per gli investitori, più spesa pubblica.  Già oggi, mentre il pgt è in fase di approvazione, su tavoli diversi si stanno elaborando le prima deroghe ad hoc. Bastino due esempi: l’accordo di programma sulle scali ferroviari si sta muovendo su binari differenti rispetto all’intera città; il tentativo di soluzione del caso Leoncavallo non richiama nessuna delle regole del piano.

In altri termini queste nuove norme introducano trasformazioni frammentate con regole e quantità differenti da zona a zona. Il rischio è che l’interesse di pochi prevalga su quello dei cittadini. L’impressione è che trasparenza e equità lasciano spazio a ambiguità e parzialità.

Semplicità: risulta evidente la necessità di regole che più che dire cosa si debba fare, dicano cosa non si deve fare. Cosa lede o è contro l’interesse di tutti. Ecco, il nuovo piano torna ad imporre ciò che si deve fare, determinando una gabbia dirigista che renderà complicata qualsiasi iniziativa. Ciò oltre ad aumentare la spesa per alimentare gli apparati amministrativi, rappresenta il miglio terreno  di coltura per la corruzione.

L’assenza di libertà, equità e semplicità determina dunque una riduzione della ricchezza della città ed un incremento della spesa pubblica: il piano della decrescita i cui effetti si sommano a quelli della crisi.

Ma tutto questo a chi giova ? Gli estensori del piano raccontano di aver architettato uno strumento che consente alla pubblica amministrazione di governare lo sviluppo della città.

A prima vista, potrebbe sembrare così, cioè che una politica dirigista possa meglio rappresentare gli interessi del pubblico. Ma nella realtà dei fatti non è vero.

Ecco il paradosso.

Di fatto, la troppa regolamentazione pubblica è una barriera all’ingresso di cui fanno le spese i piccoli operatori, che non reggono lo stillicidio delle procedure burocratiche, e i grandi investitori stranieri, che non amano la complessità dei bizantinismi all’italiana. Il piano dirigistico avrà quindi la conseguenza di avvantaggiare i grandi operatori già presenti sul mercato milanese che la sinistra ha combattuto  e combatte solo a parole.

Cosa c’è di meglio, per un operatore che vuole vendere il suo prodotto in fase di completamento, chiudere le porte a nuovi competitor?

E per le banche su cui poggia l’indebitamento degli stessi operatori ? Ecco a chi giova ! Ecco a chi conviene che questo settore si fermi.

Certo, con un mercato congelato chi già opera non avrà stimoli a competere sulla qualità degli interventi; certo, una sensibile riduzione dell’offerta manterrà alti i prezzi delle case.  Certo, senza contributo degli operatori privati, edilizia sociale e infrastrutture poggeranno tutte sulle fragili spalle del bilancio comunale, cioè in fondo sulle conti correnti di noi milanesi.

Certo, il pil della città ne risentirà e la spesa pubblica crescerà.

Ma per questo si può sempre dare la colpa alla crisi. L’importante è che questo amministrazione non disturbi i veri manovratori della città: banche e grandi operatori.

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