La Sclerosi Laterale Amiotrofica, meglio conosciuta come SLA è una malattia neurodegenerativa progressiva che colpisce le cellule nervose cerebrali e del midollo spinale che permettono i movimenti della muscolatura volontaria. Si stima che ogni anno al mondo ne vengano colpite quattrocento persone. E’ una malattia molto difficile da diagnosticare: oggi non esiste alcun test o procedura per confermare senza alcun dubbio la diagnosi. Una patologia che indebolisce giorno dopo giorno la muscolatura del paziente e che lo debilita letalmente: un lento percorso, alleviato solo da sedute di riabilitazione e farmaci ad hoc la cui assunzione può rallentare la progressione della malattia. Un’agonia, dunque, per malato e familiari che, impotenti, assistono all’acutizzarsi dei sintomi. Essendo una patologia cronica, per la persona affetta da SLA non è previsto un percorso di ospedalizzazione ma è previsto il ricovero solo nel peggioramento delle sofferenze. La Regione Lombardia, è stata la prima a garantire la gratuità dei ricoveri di sollievo transitorio o definitivo alle persone affette da Sla e, dal 2009, ad erogare ai familiari che si dedicano all’assistenza a domicilio un contributo mensile di 500 euro. Ne abbiamo parlato per Il Sussidiario.net, con Stefania Bastianello, “care giver” esperta del Centro di ascolto e consulenza sulla SLA di AISLA Onlus, Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica, che ha sede a Milano.



Innanzitutto, come distinguere la SLA da altre patologie neuromuscolari?

La SLA è una patologia la cui diagnosi è molto complessa, poiché non esiste ad oggi dei marker che consentono una diagnosi certa per questa malattia. Si prosegue, dunque, con una diagnosi differenziale cioè per esclusione di una serie di patologie eseguendo alcuni esami, primo fra tutti l’elettromiografia. I Tempi medi per una diagnosi, nel nostro paese, si attestano sui dici o dodici mesi. Un tempo troppo esteso, considerato anche il rapido decorso della malattia.



L’assenza di un vero e proprio registro costituisce un grande limite?

Assolutamente sì. I registri sono pochissimi rispetto al numero delle regioni. Anni fa era stato fatto un tentativo per costituire un registro nazionale con la consulta delle malattie neuromuscolari, ma ad oggi purtroppo non disponiamo di epidemiologici precisi.

Come AISLA aiuta i malati di SLA?

Mi piace dire che AISLA opera una tutela a trecentosessanti gradi. Noi ci muoviamo su più fronti: informazione, formazione, ricerca poiché ad esempio siamo soci fondatori di realtà come ARISLA. Abbiamo inoltre un centro di ascolto in grado di raggiungere il malato dalla Valle d’Aosta alla Sicilia. Il nostro sforzo è volto, da un lato, sul fronte dell’assistenza e dell’aiuto per la gestione della quotidianità e della ricerca scientifica.



Qual è il primissimo obiettivo che si pone un malato e la sua famiglia?

Ce ne sono molti e non solo uno. Da un lato c’è la speranza di una cura e una terapia ma, dall’altro lato, proprio perché non c’è una cura e la qualità della vita.

Come si colloca il servizio erogato dal Servizio Sanitario lombardo nel quadro nazionale?

Occorre ammettere che la Lombardia è stata una delle prime regioni a sensibilizzare sul tema, adottando poi dei provvedimenti specifici. Ad oggi, i malati e le famiglie possono contare su un contributo mensile di 500 euro dedicato al care giver, sulla gratuità dei ricoveri di sollievo o di lungodegenza presso le RSA o RSB che vanno ad unirsi ai contributi nazionali come invalidità civile o accompagnamento. La Lombardia, dal punto di vista delle tempistiche è decisamente un punto di eccellenza. Per ciò che riguarda l’erogazione dei contributi, meglio della nostra Regione,  fa solo la Toscana che eroga un contributo di 1500 euro.

La cronicità della malattia sembra essere un punto focale di questa malattia, soprattutto per la gestione del malato da parte delle famiglie.

La SLA comporta una serie di “lutti funzionali”, cioè una serie di perdite in termini di movimento, respirazione e comunicazione, a volte, molto ravvicinati nel tempo. Quindi, il carico psico – emotivo della persona malata e di tutto il nucleo familiare è estremamente oneroso, reso ancora più pesante della velocità degenerativa della malattia. Le famiglie devono essere al centro dell’attenzione dell’ospedale e del territorio poiché il malato di SLA dovrebbe poter vivere a casa la maggior parte del decorso della malattia.

E’ previsto un aiuto psicologico per pazienti e famiglie, in Regione Lombardia?

Ci sono, nella nostra regione, dei centri di eccellenza per la SLA dove è offerto un ottimo supporto psicologico e ci sono alcuni psicologi sul territorio che possono portare aiuto a domicilio.

Quali sono gli aspetti ancora da migliorare?

E’ stato fatto tantissimo ma servono interventi sul percorso assistenziale perché ancora oggi, in alcune realtà, c’è una frammentazione dei servizi e una scarsa comunicazione fra ciò che accade in ospedale e ciò che avviene al domicilio con l’equipe che assiste il paziente.

 

 (Federica Ghizzardi)