Dopo essersi a lungo visto negare qualsiasi opportunità di carriera in Italia, un ricercatore milanese è stato assunto a Cambridge per prendere il posto di un Premio Nobel grazie semplicemente al suo curriculum vitae. E’ successo a Massimo Zeviani, esperto di disfunzione di mitocondri, che dal prossimo gennaio andrà a lavorare nel Regno Unito come capo della Mitochondrial Biology Unit del Medical Research Council. Ilsussidiario.net ha intervistato Alessandro Rosina, professore di Demografia all’Università Cattolica e presidente di Italents, che si occupa appunto dei giovani talenti italiani.



Come spiega questa fuga di cervelli dalle università e dai centri di ricerca milanesi?

Dipende dal fatto che negli altri Paesi si investe molto di più in ricerca e sviluppo, e quindi è più facile, soprattutto in nazioni più avanzate come Regno Unito, Francia, Germania e Stati Uniti, trovare maggiori opportunità per lavorare ad alto livello in questo settore. Oltre a questo motivo attrattivo, ci sono poi dei motivi “repulsivi” che spingono ad abbandonare la nostra città. In primo luogo le difficoltà a vedere riconosciute le proprie capacità, il proprio valore e i propri talenti in questo Paese, dove invece funzionano di più logiche di appartenenza. Più che tenere conto delle competenze di una persona, conta di più il fatto che sia cresciuto professionalmente in un determinato ambiente. Si fa carriera quindi in quanto allievi dei cosiddetti “baroni”, che cercano di difendere i loro studenti anche a scapito di altri che potrebbero avere più capacità, valore ed essere più portati per la ricerca e l’innovazione.



Perché a Milano il curriculum vitae non basta per trovare lavoro?

All’estero contano di più la capacità e le competenze e non si guarda da chi è sponsorizzata una persona. In Italia è decisivo avere la spinta giusta ed essere figli di qualcuno importante. Chi non ha nessun santo in Paradiso può anche avere le capacità, ma più difficilmente trova riconoscimento. Questo non vuole dire che Milano non dia spazio ai talenti, però è più difficile rispetto all’estero, in quanto nella nostra città vigono delle logiche diverse.

Di che tipo?

A prevalere sono logiche gerontocratiche e nepotistiche, e questo vale in particolar modo per l’università, complicando molto la possibilità di reclutare persone secondo criteri trasparenti. E’ quindi più facile che chi vale, vedendo che in Italia incontra solo dei rifiuti, decida di andare altrove. Magari con il tempo avrebbe potuto trovare un’opportunità anche nel nostro Paese, ma ci vuole più tempo e capacità di resistenza in un sistema che molto spesso demotiva.



 

In che modo è possibile cambiare il sistema milanese che provoca la fuga di numerosi validi ricercatori?

 

Innanzitutto, il sistema milanese è più dinamico di quello del resto d’Italia. Lo stesso Zeviani ha riconosciuto che nella nostra città ha trovato comunque un ambiente in cui crescere, svilupparsi, consolidarsi. Se numerosi giovani trovano ampio riconoscimento all’estero, significa che sono stati formati bene in Italia. Partiamo quindi dal fatto che abbiamo persone di grande capacità e che le formiamo bene. Tutto ciò che dobbiamo fare è trovare il modo affinché possano rimanere in Italia e trovare il modo per uscire dalle logiche non meritocratiche, nepotistiche e di baronato. Dall’altra, occorre espandere quei settori più innovativi, dove si può fare ricerca di altro livello, attraendo talenti, mantenendo quelli che già abbiamo o facendoli ritornare dopo un’esperienza all’estero. E’ necessario investire sui settori più innovativi, con strumenti avanzati, in modo da consentire di rendere il sistema competitivo, creando crescita e benessere diffuso.

 

La sua associazione si occupa anche di riattrarre i talenti milanesi. Che cosa li spinge a ritornare dopo essere fuggiti all’estero?

 

In Italia esiste da poco una legge che consente di riconoscere degli incentivi fiscali a laureati under 40 che decidono di tornare. Questo da solo però non basta, ci vuole la prospettiva di tornare in un ambiente in cui si è valorizzati, senza doversi accontentare di rendere di meno rispetto alle proprie capacità.

 

(Pietro Vernizzi)