La seduta inaugurale del convegno “Tradizione cristiana, identità culturale e unità italiana”, promosso dalla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha visto ieri la presenza del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in ideale continuità con le recenti iniziative per il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. Il Capo dello Stato, accolto dagli applausi di un’Aula magna colma di docenti e studenti, ha ascoltato infatti con attenzione le relazioni sul “contributo dei cattolici all’unità italiana”. Presenti anche tre autorevoli esponenti del governo Monti: Lorenzo Ornaghi, ministro per i Beni e le Attività Culturali nonché rettore dell’Ateneo dei cattolici italiani, Andrea Riccardi, ministro per la Cooperazione e l’Integrazione e Piero Giarda, ministro per i Rapporti con il Parlamento.
Al centro dei lavori, che proseguiranno per altri due giorni, il ruolo svolto nel Paese da un patrimonio culturale comune, profondamente influenzato dalla tradizione cristiana come elemento decisivo di identità nazionale e come fondamento dell’unificazione politico-istituzionale.
«L’Università Cattolica – ha ribadito nei saluti iniziali il prorettore vicario, Franco Anelli – intende essere al fianco delle istituzioni, confermandosi luogo di formazione di persone accomunate da un saldo senso di appartenenza alla comunità dei credenti e alla collettività nazionale. I tempi che stiamo vivendo ci ricordano che nulla è acquisito per sempre, e che l’unità di una nazione, deve essere alimentata e rinnovata costantemente». «Lei – ha poi sottolineato il cardinal Dionigi Tettamanzi, rivolgendosi a Napolitano – ha più volte espresso la consapevolezza del ruolo tuttora operante della tradizione cristiana nella realtà profonda del nostro paese. Una risorsa preziosa per cercare insieme un futuro comune all’altezza delle attese di questo momento storico».
Stato e Chiesa sono quindi impegnati in una “comune missione educativa”. Un compito che, come ha spiegato Angelo Bianchi, preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, apre gli studiosi e gli storici a un lavoro di ricerca impegnativo e stimolante. «Una lunga tradizione storiografica, nata a ridosso della proclamazione dell’Unità d’Italia, si era concentrata sullo “scontro” tra lo Stato e la Chiesa – ha illustrato il Prof. Bianchi –. Studi più recenti hanno permesso però di riaprire questa pagina e di innovarne la scrittura: l’unità italiana non è solo un fatto politico, ma ha radici più profonde, che affondano nella tradizione storica, letteraria, artistica e religiosa del Paese».
Di una Chiesa che non può essere definita «madre dell’indipendenza della nazione», ma che ha saputo rimodellarsi, seppur privata dal suo spessore pubblico, ha parlato poi il ministro Riccardi. Una Chiesa che, sulla base del secolare rapporto tra il cattolicesimo e l’Italia, già prima del Risorgimento, è riuscita addirittura a compiere un “atto di adozione” nei confronti della Nazione.  



E così, anche se «l’Unità d’Italia aveva coinciso con la soppressione del potere temporale e delle corporazioni religiose, la cosiddetta “opposizione cattolica” propose l’unità religiosa del paese come premessa dell’identità e dell’unità nazionale». Un filo rosso che ha percorso questi 150 anni, passando dal Cardinal Montini a Giovanni Paolo II e che arriva fino ad oggi, in un tempo segnato dalla «mancanza di visione della classe politica, non intesa come erudizione, ma come capacità di coniugare senso del passato e indicazione per il futuro». 
«Sono convinto – ha concluso Riccardi – che nel patrimonio storico e culturale del cattolicesimo italiano, ci siano materiali per una visione. Oggi dobbiamo riprendere a parlare di politica con profondità storica e con una speranza per il futuro perché storia e slancio verso il futuro stanno insieme».

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