Dopo i blitz della guardia di finanza dei mesi scorsi a Cortina d’Ampezzo, a Courmayeur e nelle località italiane mete del turismo vip di tutto il mondo il tema della della caccia all’evasore sembra essere sempre più di moda. Anche Milano, capitale economica del Paese è stata luogo di controlli a tappeto che hanno suscitato un acceso dibattito tra chi reputa queste azioni gesti meramente simbolici e persecutori nei confronti di chi svolge regolarmente il proprio lavoro e chi, invece, plaude a un giusto pugno di ferro contro gli evasori.
Nel merito del dibattito sono entrati anche le circoscrizioni zonali del Comune di Milano e nello specifico il consiglio di zona 5 con l’iniziativa “Chiedimi lo scontrino” che prevede la possibilità di apporre un adesivo sulle vetrine di negozi e locali della Zona 5 che rilasciano regolare quietanza di pagamento.
Lo stesso Attilio Befera, direttore dell’Agenzie delle Entrate, sulla stessa linea ha proposto un attestato per gli esercizi in regola ai controlli.
Quindi un bel certificato di qualità a chi paga regolarmente le tasse.
Quella che all’apparenza sembra un’iniziativa lodevole di fatto cela un retropensiero secondo cui pagare le tasse è qualcosa in più, visto che lo fanno in pochi o comunque non tutti.
Per un lavoratore invece è un obbligo di legge a cui non ci si può sottrarre pena il pagamento di sanzioni.
Il riconoscimento di un valore positivo (attestato di qualità) per un’attività (pagare le tasse) che è dovuta per legge è del tutto inutile e svilisce la norma stessa.
Tuttavia la proposta in esame fa emergere un grosso problema, ovvero il disagio e la difficoltà che gli italiani hanno nel pagare le tasse.
Sicuramente non perchè sono più furbi o meno inclini al rispetto della legge rispetto ai cittadini di altra nazionalità.
Nel 1950 Luigi Einaudi comparando il sistema di tassazione italiano a quello anglosassone scrisse: “(…) Spesso si dimentica che le imposte sullo stesso reddito sono parecchie in Italia. Se si sommano anche solo le imposte reali (…), le relative imposte locali, l’imposta complementare progressiva sul reddito e l’imposta di famiglia, il medio contribuente americano rimarrebbe a sentire certe cifre nostrane terrorizzato. (…) La riforma tributaria non avrà mai alcun successo se non si ridurranno le tassazioni a limiti più umani.”
L’attualità di queste parole che chiunque anche oggi potrebbe sottoscrivere fa capire che innanzitutto il problema risiede in una tassazione più equa.
In secondo luogo occorre che sia ben visibile dove vanno a finire le nostre tasse, ovvero la traduzione in servizi pubblici efficienti. Sul punto giocano un ruolo di primaria importanza i mezzi di comunicazione che spesso preferiscono soffermarsi sul gossip piuttosto che valorizzare quei settori della pubblica amministrazione di assoluta eccellenza presenti in Italia.



Una tassazione iniqua con servizi pubblici inefficienti non fa che aumentare il disagio del cittadino che, percependo il pagamento delle tasse come una somma ingiustizia, evade. 
Occorre quindi un cambiamento che prevede una scelta di una classe dirigente capace di concepire una riforma della tassazione equa, amministratori locali in grado di tradurre le entrate in servizi efficienti, cittadini che non vedano lo Stato come un nemico ma come un erogatore di servizi. 
Ovvero c’è bisogno di una riforma culturale, non di un bollino di qualità.



(Federico Illuzzi)

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