Soprattutto quando la si incontri le prime volte e si cominci a conoscerla (magari senza innamorarsene subito), Milano colpisce con l’imponenza monumentale dei suoi segni, che non per caso sono simboli noti in tutto il mondo: il Duomo svettante fino alla guglia illuminata dalla dorata Madonnina, il Castello sforzesco, il Cenacolo di Leonardo a Santa Maria delle Grazie. E ancora: il Teatro alla Scala, la Pinacoteca di Brera, l’Ambrosiana, il Museo Poldi Pezzoli, la basilica di Sant’Ambrogio, le molte altre chiese ricche di tesori. Né vanno dimenticati il Quadrilatero della moda e le vie di fama internazionale, le università, le case editrici, i giornali, i centri di cultura, le banche e così via.



È facile intuire, attraverso ognuno di questi segni, la molteplicità delle ragioni (e lo specifico, originale modo di comporsi o intrecciarsi di ciascuna ragione con tutte le altre), per cui Milano è diventata grande nel corso dei secoli. La storia di questa civitas impareggiabile ha consentito uno sviluppo altrettanto straordinario. È uno sviluppo che – sul filo del tempo, sino a questa nostra stagione storica – ha trasformato l’antico agglomerato che fiorì in mezzo alla Pianura padana in una metropoli di eccezionale importanza per l’evoluzione di un’intera galassia, oggi definibile propriamente «lombarda»: vale a dire, un mosaico di territori gravitanti intorno alla loro capitale di fatto (e, in diverse epoche, capitale anche politica di uno Stato in grado di inserirsi, da par suo, nel concerto pluralistico dell’Europa dei popoli e delle «piccole patrie»).



Non è sempre facile stabilire che cosa ci sia di assolutamente unico e speciale nelle circostanze che hanno reso Milano quello che ora è. Occorrerebbe conoscere altrettanto a fondo la storia delle altre «patrie» e dei mille campanili che, dialogando e anche rivaleggiando a volte duramente tra di loro, hanno concorso a formare il tessuto multicolore della nostra Italia unita.

Senza mai indulgere alla tentazione della retorica o della mitologia di Milano, il presente volume aiuta ad addentrarsi nel percorso che, dall’età antica e medievale, ha portato all’esplosione di una modernità non di rado ambivalente, tanto affascinante quanto complicata, contraddistinta sia da avanzamenti spettacolari, da una bellezza e umanità dispiegate per corrispondere il più possibile alle attese dell’uomo, sia da cadute ed errori che hanno prodotto rotture e ulteriori squilibri. Frutto della collaborazione di alcuni fra i più qualificati esperti di storia milanese, il libro colma una lacuna nella storiografia, proponendosi quale introduzione – precisa e sicura, agile nello stile espositivo – alla conoscenza della fisionomia di Milano e, soprattutto, di quella cultura milanese che ha dato alla città lo spirito con cui interpretare la propria vocazione di catalizzatore dello sviluppo creativo. Il lettore si accorgerà agevolmente che l’insieme dei contributi degli autori gravita attorno ad alcuni centri di riferimento unitari e quasi disegna una mappa del codice genetico della milanesità.



Milano è sempre stata un polo di attrazione di gruppi e forze sociali, così da amalgamarli in un comune destino, proiettato alla realizzazione di scopi fondati su una sintesi (anche se, nelle differenti stagioni storiche, non sempre pacifica e immediatamente armoniosa) di identità in origine estranee, di una pluriformità dialettica e nello stesso tempo aperta a esiti di conciliazione feconda e produttiva.

La milanesità è appunto il risultato di questo complesso processo di assimilazione, in un corpo unitario, di una molteplicità di elementi capaci di contaminarsi e integrarsi reciprocamente. L’innesto di Milano nella storia del mondo europeo è stato filtrato da ininterrotti aggiustamenti e correzioni, in cui le élites dei ceti dirigenti cittadini, una volta costituite, hanno dovuto fare i conti con sempre nuove realtà che premevano per imporre il loro peso, i loro interessi, le loro strategie. La vicenda storica di Milano – sempre più centro costitutivo dell’Europa – giunge fino agli esiti, più vicini a noi, degli opposti orientamenti ideologici e politici, destinati a misurarsi in una lunga concorrenza e a competere per il governo politico complessivo della società, interagendo con le diverse anime (commerciali, industriali, finanziarie, intellettuali) da cui è stato trainato il decollo della grande città moderna e contemporanea. Il gigantesco boom della metropoli – quando, dalla metà dell’Ottocento in poi, ha cominciato a straripare al di là dell’antico circuito delle mura spagnole in cui era sin lì rimasta quasi totalmente rinchiusa – non sarebbe stato possibile senza l’arrivo e il non facile radicamento di forestieri provenienti dai borghi e dalle città minori circostanti e, più tardi, dalle regioni economicamente meno favorite di tutta la penisola, in particolare dall’area veneta e meridionale. Così come, ancora oggi, la trasformazione in città “postmoderna” dei servizi e del terziario avanzato si collega all’ingresso di stranieri che, provenendo anche da Paesi molto lontani, contribuiscono a infittire quel meticciato di usi e culture, nel cui labirinto si riversa l’apertura planetaria della circolazione degli uomini e delle reti della società dominata dal modello occidentale.

In secondo luogo, accostandosi alla vicenda di Milano, si comprende come lo sviluppo di cui essa è stata potente animatrice non sia scaturito unicamente dalla forza aggressiva delle rivendicazioni dei gruppi sociali, dei ceti e delle istituzioni. Nella storia di Milano, con ben maggiore evidenza di altre comunità e sintesi territoriali, si vede che il progresso autentico, per farsi stabile e duraturo, deve tendere a darsi un ordine, un equilibrio interno; deve essere «incivilimento». Il bene comune non può che trarre vantaggio dalla possibilità di diventare un bene eticamente indirizzato, nutrito dai canoni di una o più visioni ideali, rispettoso, non solo per enunciazione astratta di principio, delle convinzioni e dei diritti delle differenti forze costitutive della società. In questo senso, ancora una volta, colpisce il fatto che la milanesità non abbia mai amato le fughe avventurose verso il nuovo, l’esasperazione unilaterale dei conflitti, le illusioni di palingenesi rivoluzionarie. 

Anche in questo volume, invece, la comunità sociale di Milano riflette le proprie propensioni alla paziente costruzione del domani, la propria volontà di trattenere il meglio delle tradizioni preesistenti. Milano è piena di realismo e di senso pratico, spesso ardita e sperimentatrice, con al centro un patrimonio di idee e di aspirazioni fatto di acuta responsabilità civile, di tenace e operosa fede religiosa, di disponibilità ad accogliere i fermenti positivi di un ethos cittadino fecondato dall’invenzione settecentesca dei Lumi e dalle moderne progettualità politiche degli ultimi due secoli. Il progresso materiale si è mantenuto a lungo incardinato sul senso di appartenenza a una grande comunità di cui ci si riconosce figli.

Così si intrecciano le vene e le arterie pulsanti di quel cuore di Milano che dà felicemente il titolo a questo bel libro. La lezione del passato consente di fendere le nebbie del presente. E di guardare senza eccessive inquietudini al futuro. Sfidata a pensare e attuare un diverso e più giusto modello di sviluppo, Milano ritrova le ragioni della propria leadership economica e culturale, insieme con la fiducia nella propria capacità di leadership morale, nel cuore stesso di tutta la sua storia, ossia nell’equilibrata coscienza di sé e delle responsabilità a cui è oggi chiamata.