Milano è davvero una città strana. Una città dove stanno insieme cose che altrove sono incompatibili. Non sempre in pace. Non sempre con risultati invidiabili o con il vento in poppa, ma la sua cifra forse è proprio questa: funziona, o meglio ancora, è se stessa quando unisce, quando mette insieme. Non per niente è la città europea che ha vinto più Coppe dei Campioni – o Champions League, come si chiamano adesso. Più di Madrid. Più di Manchester e di Barcellona. Di Lisbona, Liverpool, Monaco di Baviera o Amsterdam. Con il concorso, a differenza delle città appena citate, di due squadre (concorso non esattamente paritetico, ma sul punto è forse meglio non approfondire…). 



Credo sia un caso più unico che raro, non solo nel calcio e non solo in Europa.

Pare che sia così da sempre. Luca Doninelli, in un suo intervento su questo giornale, citava un’opera dell’anno di grazia 1288, “Le meraviglie di Milano” (De magnalibus Mediolani) di Bonvesin de la Riva: “subito riconosciamo nei segni di uno sguardo familiare, per cui la qualità dell’acqua potabile o il numero di opere di carità o di maniscalchi sono altrettante ‘meraviglie’, tanto quanto un insigne monumento, un grande palazzo o una chiesa sfarzosa”. 



Le botteghe degli artigiani fanno grande la città come le sue basiliche; gli ospedali come le sue “utilities”. Il cattolicesimo sociale come l’illuminismo settecentesco. L’umanitarismo socialista come i daneé e gli “animal spirits” del capitalismo industriale.

Tutto finito? A volte verrebbe da pensare di sì. Verrebbe da pensare si sia smarrito il valore condiviso e identitario che ha permesso a tanti uomini diversi di capirsi e di costruire. Così smarrito da far fatica addirittura a ricordarsi che è stato il lavoro, il suo significato e il suo contenuto di esperienza umana e civile, economica e religiosa il punto in comune di mondi lontani e potenzialmente avversari. Il lavoro nella sua essenza – umile o intellettuale, famoso o anonimo, gratuito o profumatamente retribuito – perché l’identità milanese non è mai stata, alla fine, una questione di “successo”.



Sempre Doninelli scrive in un altro articolo: “sarebbe meglio chiamare con questo nome (identità, ndr) quella parte di tradizione che – in modo riconoscibile e documentabile – si dimostra in grado, oggi, di produrre luoghi, realtà sociali, eventi che si presentino in controtendenza rispetto al modello della Città Globale”.

Per questo è rilevante e significativo un evento in sé piccolo, la “Scuola per il Volontariato” organizzata da Siam, Società di Incoraggiamento di Arti e Mestieri di Milano, attualmente in corso di svolgimento (ha inaugurato in aprile il suo primo corso). 

Perché un evento? E perché in grado di attestare in modo “riconoscibile e documentabile” la fecondità e il dinamismo dell’identità milanese? Innanzitutto perchè la Scuola per il Volontariato è nata presso l’antica e gloriosa Scuola di Incoraggiamento di Arti e Mestieri, attiva dal 1838, Ferdinando I d’Asburgo felicemente regnante. Basta fare quattro passi per la sede di via Santa Marta 18, e buttare un occhio nella “galleria d’onore” per incontrare larga parte della storia imprenditoriale – e della toponomastica – milanese: Enrico Mjlius, Antonio Kramer, Leopoldo Pirelli, Ercole Marelli, Ettore Conti di Verampio…

Dalla sua fondazione la Società è sempre stata un luogo in cui l’imprenditoria milanese ha contribuito al potenziamento sociale, educativo e professionale di Milano, costituendo la matrice da cui sono nate istituzioni come la Fiera di Milano o il Politecnico. Ancora oggi – e in particolare in questi ultimi anni – è un luogo in cui, con discrezione, famiglie generose contribuiscono fattivamente alla realizzazione di attività formative come questa Scuola di Volontariato che, giova ricordarlo, è stata progettata e voluta anche per essere, nel tempo, un luogo di sinergia e di elaborazione formativa per le esperienze di quanti, a Milano e non solo, concepiscono la propria attività di volontariato come il modo con cui costruiscono il bene comune. 

Poi perché è un segno non solo della attenzione con cui il mondo del volontariato è teso alla formazione dei suoi operatori. Moltissime realtà che operano in questo campo organizzano corsi, seminari e workshop per attrezzare i propri volontari a far fronte ai compiti e le sfide che li attendono. Questa Scuola nasce con l’obiettivo di rendere presente nel grande e variegato mondo del volontariato lombardo un luogo stabile in cui fare emergere la dimensione e il profilo “professionale” del volontario, qualunque sia la realtà e la problematica che si trova ad affrontare e a servire. Ciò significa dare spazio alla dimensione “etica” della stessa professionalità (troppo spesso ridotta ai suoi aspetti tecnici) che ha la sua cifra distintiva, prima che nella gratuità, nella “volontarietà”: il volontariato diventa un’esperienza in grado di illuminare la vera profondità del lavoro di chiunque, stipendiato o meno, nelle sue dimensioni di costruzione, di comunicazione, di servizio, di realizzazione propria e altrui.

Questo significa innanzi tutto approfondire operativamente, sia nei volontari che nei responsabili delle opere che beneficiano della loro attività, il valore e le opportunità date dal volontariato come elemento costitutivo di un nuovo welfare mix, di un sistema in cui la spinta personale di ognuno verso l’altro (che può essere il disabile, il minore o i genitori in difficoltà, lo straniero, il malato) e verso il bello (basti pensare a quante attività di volontariato hanno come oggetto la valorizzazione del patrimonio artistico, l’educazione, la conservazione ambientale, lo sport o il tempo libero…) trova un luogo di realizzazione e di utilità nell’istituzione sociale, cioè nella realtà stabile, professionale, spesso accreditata che garantisce i più svariati servizi pubblici.

Significa inoltre, attraverso una formazione che permetta l’emersione delle storie e dei vissuti dei singoli volontari anche attraverso tecniche di coaching di gruppo, il racconto di esperienze “esemplari”, e il potenziamento di specifiche tecniche operative, a seconda della composizione dei gruppi di corsisti, fare emergere il rapporto tra la dimensione personale che spinge il volontario e quella “pubblica” che ne determina il contesto, le condizioni e il valore sociale.

Milano è una città strana, dicevamo. La sua identità è tenere insieme cose che sembrano incompatibili, come il lavoro e il volontariato, l’iniziativa privata e sociale e lo scopo pubblico. Un’identità che ancora, talvolta, produce luoghi, magari piccoli, iniziali, come la Scuola per il Volontariato. Anche a partire da storie antiche e ancora vive.