Milano. Con poche parole, ponderate col misurino, Pisapia ha sortito l’effetto voluto. Di certo non lo si può incolpare di esser stato scortese nei confronti di Ratzinger che, per la prima volta da Pontefice, ha visitato Milano. Nel suo discorso di benvenuto in Piazza Duomo, ha ringraziato Benedetto XVI della sua presenza. Poi, salutandolo anche a nome dei non credenti, si è sentito in dovere di spiegargli che  «la fede non può essere motivo di divisione ma di unione». Proseguendo, ha più volte richiamato il tema del viaggio del Papa, giunto a Milano per la chiusura dei festeggiamenti del “VII incontro mondiale delle famiglie”. Incontro nell’ambito del quale il plurale ha un significato ben preciso. In bocca a Pisapia, ne ha assunto inevitabilmente un altro. Specie laddove, dopo aver usato il singolare, si è sentito in obbligo di correggersi. «E la famiglia – le famiglie – hanno la priorità nelle nostre preoccupazioni», ha detto. Stefano Zecchi ci aiuta a interpretare il discorso del sindaco.



Cosa ne pensa delle sue parole?

Dentro a un mondo in cui il linguaggio ha un significato ben preciso, tale significato viene sempre affidato ad una storia, ad una tradizione. La famiglia, in tal senso, è una cosa ben precisa: un padre, una madre e dei figli. Certo, sappiamo che la società sviluppa altre forme di aggregazione. Sarebbe doveroso, tuttavia, riconoscere che queste forme non sono quelle tradizionali. Un conto, infatti,  è considerare quelletramandataci dalla nostra tradizione giudaico cristiana e che assumono un significato ben preciso; altro, prendere in considerazione una società che sviluppa un’idea diversa. E’ chiaro che per la nostra tradizione giudaico cristiana, famiglia è un concetto ben preciso.



Tuttavia, Pisapia ha parlato da laico

Da un punto di vista laico è improponibile pensare di proporre ad una figura così alta delle istituzioni cattoliche di modificare l’idea di famiglia derivante dalla propria cultura.

Quindi?

L’ho trovato, in sintesi, arrogante.

Dato il contesto particolare, trova che, politicamente, sia stata una mossa sensata o azzardata?

Dal punto di vista della comunicazione politica e del vantaggio personale, è stata un’operazione molto abile. Pisapia, virtualmente, non stava parlando al Pontefice o alla comunità cristiana, bensì ai suoi “fedeli”. Voleva, in quel modo, far sapere che anche di fronte al Papa è impegnato in una revisione dell’istituto familiare all’interno dell’amministrazione comunale.



Il sindaco ci ha tenuto anche a precisare che «la fede non può essere motivo di divisione ma di unione»

Parlare di fede come di elemento di superamento delle divisioni è sbagliato. Un laico non si deve avventurare in discorsi teologici. Avrebbe dovuto, casomai, tirare in ballo la ragione illuminata. Affrontando il tema dal punto di vista della cultura filosofica. Culturalmente, in sostanza, porre la questione del superamento delle divisioni in termini teologici invece che in quelli del principio laico della tolleranza, è stato un errore.

Ha dato, infine, il benvenuto a Ratzinger anche da parte dei cittadini provenienti «da 170 paesi del mondo e che hanno scelto Milano come loro città. Nuovi milanesi, come il nostro patrono, Sant’Ambrogio. Che non era milanese, e nemmeno italiano»

Si tratta di un autogol. Il principio dell’accoglienza è sacrosanto. Non può, tuttavia, anche in questo caso, confrontarsi con il Papa sul piano teologico. Avrebbe dovuto tentare un approccio culturale. E, invece di evocare sant’Ambrogio, richiamarsi, ad esempio, alla borghesia milanese. Che nella storia, almeno dall’illuminismo in avanti, ha dato prova di tolleranza e grande cosmopolitismo. Insomma, la citazione di Sant’Ambrogio dà l’impressione dell’avvocato che vuol dare lezioni al teologo. Siamo di fronte ad una “Hybris” impressionante.  

Un ragionamento del genere lo applicherebbe anche ad una visita, mettiamo il caso, del Dalai Lama o di un autorevole imam?

Certo. La separazione dei poteri è il fattore che ha sempre garantito proprio quanto auspicato da Pisapia: la tolleranza. Se si fosse trattato di un incontro culturale o privato, ne avrebbe avuto tutto il diritto. Dobbiamo ricordare, tuttavia, che in quel momento si è espresso nelle vesti politiche di sindaco di Milano.

 

(Paolo Nessi)

Leggi anche

PAPA A MILANO/ 2. Non una semplice "lezione" alla politica, ma qualcosa in più...PAPA A MILANO/ 1. D'agostino: un'apertura ai divorziati solo "pastorale"IDEE/ Campiglio: e ora la famiglia vada al "governo" del Paese