Differenziare l’aliquota Imu sulla prima casa in base al numero di appartamenti di cui il cittadino è proprietario. E’ la proposta di Basilio Rizzo, presidente del Consiglio comunale, e Patrizia Quartieri, capogruppo di Sel. L’idea è quella di prevedere aggravi dello 0,5%, o comunque oltre lo 0,4%, per chi possiede più case. Per Gianluigi Bizioli, professore di Diritto tributario all’Università di Bergamo, “si tratta di un’ipotesi che non è contemplata dalla legge e che va contro la normativa nazionale. Se il Comune di Milano la adottasse, ciò aprirebbe una serie infinita di ricorsi e contenziosi”.
Bizioli, che cosa ne pensa della proposta di Basilio Rizzo?
La ritengo difficilmente applicabile, perché l’unico potere concesso al Comune in relazione alla tassazione Imu sulla prima casa è quello di variazione dell’aliquota nel limite del 2 per mille. La legge non fa invece nessun riferimento alla variazione dell’aliquota sulla base del numero di abitazioni possedute. In questa direzione noi ci avvicineremmo a una sorta di imposta patrimoniale progressiva, che francamente non riesco a leggere nel disegno dell’Imu. Ci sono quindi sia elementi letterali sia elementi sistematici che sono in contrasto rispetto alla proposta di Basilio Rizzo.
Il potere di decidere i criteri di applicazione dell’Imu spetta solo allo Stato o anche ai Comuni?
L’Imu è un tributo istituito con legge statale. I Comuni possono intervenire esclusivamente nei limiti che la legge statale affida loro, ma non possono erodere dei margini che non sono espressamente previsti a livello centrale. Non dimentichiamoci inoltre che l’Imu è un’imposta straordinaria sul patrimonio. Siamo di fronte a un’anticipazione della tassa in via sperimentale, che l’ha suddivisa in due: una parte statale e una comunale. Non si tratta quindi di un’imposta ordinaria sulla tassazione degli immobili, ma di una tassa che è stata introdotta in ragione della particolare esigenza della finanza pubblica. Questo è un ulteriore elemento che fa dire che il potere statale su questa imposta è particolarmente forte.
Se il Comune applicasse comunque un’Imu più cara per chi ha molte case, sarebbero possibili dei ricorsi?
Sì, perché esistono molti margini che vanno contro la proposta di Rizzo. Un cittadino che ha molte case potrebbe aprire un contenzioso. Potrebbe quindi ricorrere al Tar impugnando direttamente la delibera comunale, oppure in Commissione Tributaria chiedendone la disapplicazione nel caso in cui si arrivi si arrivi a un accertamento nei confronti del contribuente.
E’ ipotizzabile anche un contenzioso tra governo e Comune?
Sì. Anche perché la stessa circolare del dipartimento del ministro per le Politiche finanziarie non contempla l’ipotesi di un’Imu più cara per chi ha molte case. Il governo quindi si trova su una posizione differente.
Nell’applicazione dell’Imu, in che modo è possibile trovare il giusto equilibrio tra esigenze di bilancio ed equità fiscale?
La maggior parte dei Comuni italiani sono orientati verso una minimizzazione del carico sull’abitazione principale e una massimizzazione del carico sulle seconde case e sulle imprese. Quest’ultimo è un fatto molto grave nell’attuale situazione, perché rappresenta un ulteriore aumento di costi per le aziende.
Lei è contrario a un aumento dell’Imu nei confronti di queste ultime?
Io sono in assoluto disaccordo. Anche perché la legge consente ai Comuni di differenziare le aliquote applicate sulle seconde case e quelle sugli immobili utilizzate da imprese e lavoratori autonomi.
Perché allora il Comune di Milano non attua questa differenziazione?
Esigenze di budget non lo consentono, e il suo obiettivo è sostanzialmente quello di fare cassa. Si presuppone che l’abitazione abbia un valore maggiore per chi ci abita, rispetto a chi affitta o tiene a disposizione la casa come attività economica. Secondo questa idea, per chi vi dimora una casa risponde a una funzione primaria, e quindi si preferisce alzare l’aliquota solo in altri casi, come quello delle imprese.
(Pietro Vernizzi)