“La Famiglia e Il Diritto”: è il titolo della mostra che la Libera Associazione Forense allestisce, presso la fiera di Milano city, dal 29 maggio al 2 giugno, nell’ambito delle manifestazioni del Family 2012. Ecco di seguito il sunto di una delle tavole della mostra.

Nonostante il legame famigliare possa cessare di fatto con la separazione e giuridicamente con il c.d. divorzio -introdotto nel nostro ordinamento il 1 dicembre 1970 con L. n. 898- la legge, però, riconosce la permanenza di alcuni rapporti tra i coniugi e come tali li disciplina. Viene in evidenza, in primo luogo, l’esistenza dei figli, ove generati. La responsabilità genitoriale, infatti, legherà, infatti, marito e moglie, anche dopo la cessazione della convivenza. Più nello specifico, e con riferimento anche al regime della separazione, l’attuale previsione dell’art. 155 c.c. dell’affido condiviso dei figli ad entrambi i genitori impone ai coniugi il dialogo, la ricerca di una comunanza di intenti riguardanti le scelte educative e di istruzione dei figli, nonché l’obbligo di mantenerli.



Sussistono, inoltre, nella condizione di separazione legale, in capo ai coniugi, il dovere del mutuo rispetto (un affievolimento del dovere di fedeltà), il diritto a ricevere il mantenimento, da parte di chi non abbia adeguati redditi propri (art. 156, comma I, c.c.), lo status di erede necessario. Pronunciato il “divorzio”, resiste, inoltre e salvo il caso di nuove nozze, il diritto a ricevere il c.d. assegno di divorzio ex art. 5, comma VI, L. n. 898/70, anche se inizialmente non riconosciuto – sotto specie di mantenimento – con la separazione e tale diritto può essere, analogamente a quanto previsto nella separazione, reintrodotto in ogni momento, ai sensi dell’art. 9 L. n. 898/70 (salvo il caso in cui si liquidi il dovuto in unica soluzione). Il coniuge divorziato avrà altresì diritto ad una quota parte della pensione di riversibilità, se titolare di assegno di divorzio, ai sensi e agli effetti dell’art. 9 (comma II e ss.) L. n. 898/70.



Da ultimo, in entrambi i casi, sia di separazione che di divorzio, permane il diritto a ricevere il “mantenimento” da parte del coniuge che si sia dedicato prevalentemente ai figli e alla famiglia, rinunciando ad aspirazioni professionali, e che non disponga di redditi adeguati. In tal modo viene implicitamente riconosciuto valore positivo alle scelte compiute dal coniuge che abbia rinunciato a proprie aspirazioni personali a vantaggio del nucleo familiare, confidando nella potenziale stabilità del rapporto coniugale. Il riconoscimento giuridico della sopravvivenza di vincoli anche dopo la “lo scioglimento”, ovvero “cessazione degli effetti civili del matrimonio” -il c.d. “divorzio”, appunto- testimonia l’esistenza di un quid necessario ed indisponibile derivante dal matrimonio stesso che costituisce l’unicum dell’istituto famigliare.



Quali le implicazioni per l’avvocato? L’avvocato è chiamato, anche deontologicamente, a prestare il proprio patrocinio in favore del coniuge assistito, ma una difesa che tenga conto dell’interesse del singolo slegato dalle relazioni familiari rischia di incorrere in gravi parzialità. Solo a partire dal riconoscimento del rapporto che c’è stato e che -pur diversamente configurato- permane, l’avvocato può aiutare il proprio assistito a capire qual è l’origine degli obblighi ancora scaturenti dalla legge a suo carico; obblighi che, altrimenti, sarebbero avvertiti come imposizioni o vincoli all’esercizio di pretese libertà Questo approccio può favorire l’adempimento spontaneo dei doveri che permangono e la ricerca, con il coniuge, di soluzioni concordate. L’avvocato che per primo riconosce l’esistenza del particolare legame tra le parti è portato, infatti, ad evitare l’inasprimento del conflitto ed elaborare quelle soluzioni o scelte difensive che, pur tutelando economicamente la propria parte, cercheranno comunque di salvaguardare la relazione tra i coniugi, soprattutto nell’interesse dei figli, specie se minori. Per quanto concerne questi ultimi è interessante notare che sovente gli avvocati affermano di porsi dalla parte dei figli del proprio assistito. Questa posizione, senza dubbio interessante, può essere parziale e può portare ad interpretazioni arbitrarie in merito al vero interesse della prole. Infatti, così come le parti, anche i figli vanno considerati nell’ambito delle relazioni che li costituiscono e una difesa dei loro interessi che prescinda dal rapporto coi loro genitori corre il rischio di essere, ancora una volta, parziale e limitata.

Da ultimo, in entrambi i casi, sia di separazione che di divorzio, permane il diritto a ricevere il “mantenimento” da parte del coniuge che si sia dedicato prevalentemente ai figli e alla famiglia, rinunciando ad aspirazioni professionali, e che non disponga di redditi adeguati. In tal modo viene implicitamente riconosciuto valore positivo alle scelte compiute dal coniuge che abbia rinunciato a proprie aspirazioni personali a vantaggio del nucleo familiare, confidando nella potenziale stabilità del rapporto coniugale. Il riconoscimento giuridico della sopravvivenza di vincoli anche dopo la “lo scioglimento”, ovvero “cessazione degli effetti civili del matrimonio” -il c.d. “divorzio”, appunto- testimonia l’esistenza di un quid necessario ed indisponibile derivante dal matrimonio stesso che costituisce l’unicum dell’istituto famigliare.

 

Quali le implicazioni per l’avvocato? L’avvocato è chiamato, anche deontologicamente, a prestare il proprio patrocinio in favore del coniuge assistito, ma una difesa che tenga conto dell’interesse del singolo slegato dalle relazioni familiari rischia di incorrere in gravi parzialità. Solo a partire dal riconoscimento del rapporto che c’è stato e che -pur diversamente configurato- permane, l’avvocato può aiutare il proprio assistito a capire qual è l’origine degli obblighi ancora scaturenti dalla legge a suo carico; obblighi che, altrimenti, sarebbero avvertiti come imposizioni o vincoli all’esercizio di pretese libertà Questo approccio può favorire l’adempimento spontaneo dei doveri che permangono e la ricerca, con il coniuge, di soluzioni concordate. L’avvocato che per primo riconosce l’esistenza del particolare legame tra le parti è portato, infatti, ad evitare l’inasprimento del conflitto ed elaborare quelle soluzioni o scelte difensive che, pur tutelando economicamente la propria parte, cercheranno comunque di salvaguardare la relazione tra i coniugi, soprattutto nell’interesse dei figli, specie se minori.

 

Per quanto concerne questi ultimi è interessante notare che sovente gli avvocati affermano di porsi dalla parte dei figli del proprio assistito. Questa posizione, senza dubbio interessante, può essere parziale e può portare ad interpretazioni arbitrarie in merito al vero interesse della prole. Infatti, così come le parti, anche i figli vanno considerati nell’ambito delle relazioni che li costituiscono e una difesa dei loro interessi che prescinda dal rapporto coi loro genitori corre il rischio di essere, ancora una volta, parziale e limitata.