Dopo che il Corriere della Sera ha dato notizia del fatto che Formigoni sarebbe indagato per concorso in corruzione e finanziamento illecito della campagna elettorale, il governatore lombardo si è affrettato a smentire. Ha fatto presente che, conoscendo la correttezza della Procura di Milano, e siccome lui, che è il diretto interessato, non ha ricevuto alcuna avviso di garanzia, come prevede la legge, la notizia non può che essere falsa. Già, perché l’indagato dovrebbe venire a conoscenza di essere tale prima dei giornali. E se, invece, effettivamente, Formigoni lo fosse e il Corriere lo avesse saputo prima di lui, di fronte a cosa ci troveremmo? Lo abbiamo chiesto a Paolo Tosoni.



E’ lecito che un giornale disponga della notizia relativa alle indagini prima del diretto interessato?

Il Codice di Procedura penale prevede che non possano essere pubblicate notizie coperte da segreto istruttorio come, appunto, quelle relative a delle indagini in corso. Tuttavia, più specificatamente, la legge fa riferimento ai contenuti degli atti. E’ estremamente difficile, quindi, che la mera comunicazione dell’iscrizione di una persona sul registro degli indagati, che di per sé non contiene alcun contenuto, possa essere individuata come reato.



Che cosa può esserlo, allora?

La pubblicazione dei contenuti di atti o documenti coperti da segreto, quali i verbali degli interrogatori o le trascrizioni delle intercettazioni telefoniche o ambientali, è certamente una violazione prevista dal codice penale, all’art. 684.

A carico di chi?

Il reato è a carico di colui che detiene la potestà dell’atto stesso e ne rende possibile la pubblicazione. Il giornalista che pubblica la notizia è perseguibile in concorso con chi l’ha diffusa. Scoprire chi ha passato la notizia al giornalista è altamente improbabile da provare perché potrà sempre opporre il diritto alla segretezza delle fonti. Trattandosi peraltro di una contravvenzione, di norma il giudice non obbliga il giornalista a violare il segreto.



Laddove siano commesse tali violazioni sarebbe necessario indagare per identificare chi le ha commesse?

Vigendo l’obbligo dell’azione penale ed essendo la contravvenzione di cui si discute procedibile d’ufficio la Procura dovrebbe aprire un’indagine. Tuttavia, di fatto, non si procede.

Perché?

Anzitutto, perché individuare la persona che ha reso possibile la pubblicazione e che, avendo la potestà del segreto, l’ha violata, è pressoché impossibile. Questi atti sono a disposizione di molte persone. Il titolare dell’indagine, infatti, è il Pubblico Ministero affidatario. Egli, tuttavia, si avvale della collaborazione, ad esempio, degli assistenti, o degli agenti di pg; tutte figure delegate che hanno la possibilità di maneggiare gli atti. Persino il legale dell’imputato, benché evidentemente sia l’ultima persona ad avere interesse nel pubblicare gli atti relativi agli interrogatori del suo assistito, ne ha possesso e, paradossalmente, potrebbe fornirli lui stesso ai giornali. Ci sono, inoltre, ragioni di carattere storico e culturale.

Quali?

Parte della magistratura e i media, oltre ad alcuni partiti che ne hanno tratto vantaggio, hanno fatto quadrato per far prevalere nella cultura sociale, giudiziaria e politica l’idea in base alla quale il diritto all’informazione rappresenti un interesse superiore rispetto alla tutela degli indagati e alla genuinità dell’indagine.

Cosa può fare un cittadino che si senta danneggiato?

Il cittadino che si ritiene danneggiato dalla pubblicazione di atti coperti da segreto che lo riguardano può fare un esposto in Procura, chiedendo all’autorità giudiziaria di individuare i responsabili e di procedere penalmente nei loro confronti. Per le ragioni suddette, di norma, esposti del genere si concludono con una richiesta di archiviazione per impossibilità di procedere.

I verbali coperti da segreto, che sono stati pubblicati, possono continuare ad essere utilizzati per i fini previsti dalla legge?

Senza dubbio.

Come valuta il fatto che queste violazioni sono diventate prassi comune?

Si tratta di un’anomalia vergognosa, per la quale, in 20 anni, non si è fatto nulla per porvi rimedio. Attualmente, infatti, gli strumenti a disposizione sono del tutto inefficaci. Questo tipo di violazione è punibile con l’arresto o con una semplice ammenda di scarsa entità, addirittura oblazionabile con l’esborso di 129 euro: di conseguenza, è priva di alcun potere deterrente. 

Anche negli altri Paesi esiste questa anomalia?

La fuga di notizie che riguardano personaggi pubblici è un malcostume abbastanza diffuso. Tuttavia, in Italia, le dimensioni dell’anomalia sono decisamente più sviluppate. 

Lei come se lo spiega? 

Gli altri Paesi non hanno avuto Tangentopoli. Ai tempi di Mani pulite si introdusse la consuetudine  di diffondere i contenuti dei verbali o notizie riguardanti gli atti alla base delle ordinanze di custodia cautelare.

Esiste un rimedio a tutto ciò?

Tanto per cominciare ci vuole la volontà politica. Un Parlamento forte, quindi, che decida di porre fine a questo trend perverso in virtù del quale è sufficiente la notizia dell’indagine per emettere una sentenza popolare di condanna. Se tale volontà esistesse, sarebbe possibile tutelare maggiormente l’indagine e le persone indagate, ad esempio, introducendo divieti perseguibili con sanzioni deterrenti significative. 

 

(Paolo Nessi)