I tre giorni di Benedetto XVI gettano un seme nella Milano della politica che, credo, porterà molto frutto. In un momento di smarrimento e di crisi, il Pontefice ha offerto un contributo di pensiero e di bene che solo il tempo consentirà di stimarlo per quel che realmente vale. Sin dal suo arrivo sul sagrato del Duomo il Papa ha richiamato ai milanesi l’eredità «di un glorioso passato e di un patrimonio spirituale di inestimabile valore», ricordando che «nella distinzione dei ruoli e delle finalità, la Milano positivamente “laica” e la Milano della fede sono chiamate a concorrere al bene comune». Ha parlato, insomma, al cuore di quella Milano che ha visto chiudere l’Illuminismo con la Madonnina sul Duomo, i cattolici liberali promuovere l’unità nazionale e ha “donato” un Papa (Achille Ratti, Pio XI), alla cui «determinazione si deve la positiva conclusione della Questione Romana e la costituzione dello Stato della Città del Vaticano». Ha parlato al cuore di quella Milano che ha dati i natali al fascismo, ma anche alla Resistenza e al partito dei cattolici – che ha garantito all’Italia 50 anni di libertà e democrazia. A quella Milano che, dopo aver decretato la fine della Prima Repubblica con Tangentopoli, ha saputo creare entusiasmanti proposte politiche per la Seconda. Ed oggi che anche quest’ultima ha terminato la sua parabola e vede accrescere la disaffezione per la politica, Benedetto XVI si è rivolto sabato pomeriggio agli amministratori locali esprimendo «profonda stima per le istituzioni che servite e per la vostra importante opera», non lasciando così spazio ai risentimenti collettivi che in questo periodo sembrano albergare nell’animo di ognuno. Tuttavia non è stato giustificazionista. Una serie di passaggi aiutano a comprendere meglio. Il primo: «A quanti vogliono collaborare al governo e all’amministrazione pubblica, sant’Ambrogio richiede che si facciano amare – ha ricordato -. Nell’opera De officiis egli afferma: “Quello che fa l’amore, non potrà mai farlo la paura. Niente è così utile come farsi amare”(II, 29)». Ma l’affondo è arrivato la sera del sabato, rispondendo a braccio alla coppia di coniugi greci che ha esposto i problemi della crisi economica: «mi sembra che dovrebbe crescere il senso della responsabilità in tutti i partiti, che non promettano cose che non possono realizzare, che non cerchino solo voti per sé, ma siano responsabili per il bene di tutti e che si capisca che politica è sempre anche responsabilità umana, morale davanti a Dio e agli uomini».
Una politica sempre più autoreferenziale, che continua a parlare solo di sé, che si limita ad agitare lo spauracchio del “nemico” per acquisire consensi, dimentica del proprio ruolo di interlocutrice degli interessi reali delle persone e tutta preoccupata a far interessare queste a quel che vogliono le segreterie di partito, é ciò da cui nasce la disaffezione dei cittadini. Il Papa non asseconda questa disaffezione, però invita i politici a guardare in faccia le ragioni di uno scetticismo tanto generalizzato, suggerendo di farsi voler bene dalle persone in un modo che, nell’immediato, non sembra ripagare quanto i grandi proclami: mettersi a loro servizio, ascoltando e misurandosi con le loro esigenze, senza la pretesa di rispondervi totalmente. Essere realisti, ricercare il possibile. Questo è il significato attuale della citazione di Ambrogio richiamata sempre ai politici: «”Anche tu, o augusto imperatore, sei un uomo!”», aggiungendo poi che «nessun uomo è padrone di un altro uomo». Papa Benedetto XVI, se vogliamo, ha riscritto la grammatica dell’impegno civile. Ma niente è più nuovo della riscoperta di quel che si credeva già di sapere. E non solo. Il Pontefice non si è limitato a “impartire” una lezione. Ha fatto di più. Con la sua proposta anticrisi di «gemellaggi tra parrocchie» di diverse nazioni (così «che realmente una famiglia dell’Occidente, dell’Italia, della Germania, della Francia… assuma la responsabilità di aiutare un’altra famiglia»), o la sua apertura ai separati e ai divorziati («auspico che le diocesi realizzino adeguate iniziative di accoglienza e vicinanza»), piuttosto che con il suo inatteso dono di 500mila euro alle popolazioni colpite dai recenti terremoti, ha documentato davanti a tutti una reale passione per il destino di ciascun uomo. In questo modo il Papa ricorda al mondo che la Chiesa rappresenta nella storia l’ideale umano di fratellanza e comunione realizzato. E offre instancabilmente alla società e alle istituzioni un paradigma in atto di quella felice convivenza umana cui, infondo, anela il cuore di ciascuno. In qualunque parte dello scacchiere politico si collochi.