E’ stato Peter Pan, Pinocchio, Robin Hood e anche Aladin. Non ci stupisce che ora Manuel Frattini abbia problemi di sdoppiamento di personalità. L’eclettico interprete di molti famosi musical di successo, si fa in dieci, per portare in scena altrettanti personaggi che gli hanno dato la notorietà. Il Teatro di Villa Clerici di Milano ospiterà, infatti, oggi, lo spettacolo “Sindrome da musical” che vede protagonista proprio l’attore, cantante e ballerino che da anni calca i palcoscenici italiani portando in scena, rigorosamente in lingua italiana, musical di successo. In “Sindrome da musical”, scritto dalla cantante Lena Biolcati, Manuel si trova affetto da ossessioni e sdoppiamenti e viene colto da raptus in cui passa dal parlare e ballare con una pianta (vedi “La piccola bottega degli orrori“), alla timidezza che gli impedisce di corteggiare le ragazze (da “Sette spose per sette fratelli“) alla voglia di non crescere per restare sempre bambino (alcuni brani estratti da “Peter Pan”). Si parte da qui per poi arrivare alla rivisitazione delle favole di “Pinocchio” e “Aladin”, suo ultimo grande successo. Oltre a Manuel, ritroviamo in scena alcuni performer del musical “Made in Italy”. Sei ballerini/cantanti/attori, tra cui spiccano i nomi di Angelo di Figlia (capo balletto in “Mamma Mia” e ancor prima in “Pinocchio” e “Peter Pan”), Andrea Verzicco (il primo “Grillo” in “Pinocchio” e ultimamente uno dei protagonisti in “Cats”) e Silvia di Stefano (interprete di una esilarante Volpe in “Pinocchio”, coprotagonista in “Cabaret” e ultimamente Shadia in “Aladin”). Abbiamo raggiunto al telefono Manuel Frattini, che, energetico e adrenalinico come “Peter Pan”, ci ha raccontato di questo nuovo progetto e dei tanti successi della sua carriera.



Sindrome da musical” raccoglie come un medley i tantissimi musical che hai interpretato.

Certo, volevo riunire tutti i titoli che ho portato in scena, senza auto celebrarmi, ma anzi in chiave molto ironica. Racconto con leggerezza questi ultimi anni di teatro, come se fossi affetto da una sorta di “sindrome da musical” e fossi “posseduto” dai personaggi che ho interpretato con tanto di seduta dalla psicologa, da cui mi spediscono amici e parenti. E’ uno spettacolo energetico che si avvale di un cast di sette performer fantastici e che, al momento, credo siano il meglio nel panorama italiano. Ognuno di loro ha fatto esperienze nelle pièce teatrali che hanno avuto più successo in Italia: “Rent”, “Mamma mia” sino al più recente “Priscilla”. La supervisione artistica è, anche stavolta, affidata a un grande artista che è diventato il mio angelo custode, Stefano D’Orazio (ndr. Ex batterista dei “Pooh”).



C’è un musical, fra tutti quelli che hai portato in scena, che ti è entrato nel cuore?

Ogni titolo ha contribuito ad arricchirmi a livello personale e artisticamente. Forse, “Pinocchio” ha segnato un passaggio importante nella mia carriera e rappresenta un bellissimo esperimento che, nel 2003, è stato pionieristico per il panorama italiano. Ha, poi, contribuito a far nascere il teatro della Luna che, a oggi, è uno degli spazi artistici più interessanti di Milano. Proprio questo musical mi ha permesso di esibirmi a Seoul e a New York, dove da oltre 46 anni non si metteva in scena una pièce in lingua italiana.



 

Il musical è un genere che ha avuto successo in Italia solo negli ultimi anni, mentre all’estero è una realtà consolidata da parecchi anni. Secondo te perchè?

 

Il musical non fa propriamente parte della nostra cultura sebbene Garinei e Giovannini abbiano contribuito a creare, molto tempo fa, la precursice del genere, ovvero la commedia musicale italiana. Ho sempre sostenuto che il musical, nel nostro Paese, non poteva non essere apprezzato: noi italiani siamo conosciuti nel mondo come un popolo gioioso che ama ballare e cantare. Con la Compagnia della Rancia, pionieri del genere, ho fatto il mio primo spettacolo nel 1991 e, nel frattempo, ho assistito a una bella evoluzione e malgrado il periodo storico non sia dei migliori, il teatro musicale dimostra di essere in controtendenza, continuando a ottenere grossi consensi di pubblico. D’altra parte, dal momento che il musical è ancora un genere “in fasce”, l’unico modo per tutelarlo è tenere sempre d’occhio la qualità perchè, come sostengo da sempre, non si riesce a ingannare il pubblico.

 

Abbiamo visto che del musical sei un campione. Ti piacerebbe affrontare altri generi di spettacoli?

 

Io sono nato come ballerino e scoprire poi le altre due arti, il canto e la recitazione, è stata un’esperienza affascinate e stimolante. Sarebbe interessante affrontare uno spettacolo più serio, magari di prosa, accantonando la leggerezza e il “divertissement” legati al musical. Ma sono convinto che al secondo giorno di prove sarei affetto da una malinconia atavica e mi mancherebbero tremendamente gli esercizi di canto e tutta la parte dedicata allo studio delle coreografie.

 

Non hai, quindi, il classico “sogno nel cassetto”?

Certamente. Vorrei cimentarmi con il cinema che si presta moltissimo a questo genere musicale: del resto, ho trascorso la mia infanzia non con i classici cartoni animati per bambini, ma ammirando i film di Fred Astaire e tutto il filone musicale della Hollywood anni ’50. Sarebbe bello trasporre uno spettacolo, magari inedito, su pellicola.

 

Hai in mente, per questo progetto, compagni d’avventura, italiani o stranieri?

 

Intanto, devo dire che l’Italia è piena di talenti: ai provini vedo molte persone vocalmente dotate e ottimi ballerini. Il mio sogno sarebbe coinvolgere Christian De Sica, un grande attore e show man con il quale avevamo in cantiere un progetto cinematografico che poi, purtroppo, è sfumato.

 

Non sei mai stato attirato dalle sirene del “tubo catodico”, come è successo a molti tuoi colleghi?

 

In realtà, io ho iniziato la mia carriera come ballerino in tv e mi sento fortunato perchè posso dire di aver partecipato a spettacoli televisivi veramente di alta qualità come il classico varietà del sabato sera, in cui la danza ricopriva un ruolo importantissimo. Ora non la rinnego non foss’ altro per il grande numero di spettatori che riesce a raggiungere.

 

Qual è il tuo parere sui talent show che sfornano ogni anno giovani cantanti e ballerini?

 

Devo ammettere che sono gli unici canali in cui la danza trova un minimo di spazio in tv; però, ciò che è poco condivisibile è il fatto che cerchino di sostituirsi alle classiche accademie che, da anni, tentano di insegnare il mestiere. Durante una sola stagione televisiva è impossibile prepararsi in maniera seria per affrontare questo lavoro e può essere molto rischioso per chi, in giovane età, assaggia una popolarità grande ma effimera. E’ una bella vetrina, ma spesso finisce per offrire delle scorciatoie che, alla fine, non pagano. Come dicevo prima: a teatro, il pubblico non lo si inganna facilmente.

 

(Federica Ghizzardi)