Il tanto agognato posto fisso, a Milano, diventa realtà solo per un nuovo assunto su cinque. Secondo i dati comunicati dall’assessore allo Sviluppo economico della città, solamente il 19.7 delle new entry nel mercato del lavoro lo fa con un contratto a tempo indeterminato. D’altro canto, è pur vero che la disoccupazione giovanile, nel capoluogo lombardo, si attesta attorno al 20% quando, nel resto d’Italia, viaggia attorno al 35. IlSussidiario.net ha chiesto a Maurizio Del Conte, docente di Diritto del lavoro presso la Bocconi, come interpretare questi dati. «La percentuale di nuove assunzioni riflette il fatto che, ormai, la via per trovare lavoro è quella del contratto a termine. Che, di per sé, non è un dramma.  Il dramma si verifica, invece, laddove, paradossalmente, il contratto a termine venga “stabilizzato”. Quando, cioè, con si trasforma in un tempo determinato. Per il resto, se andiamo a guardare i numeri degli altri Paesi europei, ci accorgiamo che non si discostano particolarmente dai nostri». In ogni caso, tornando al nostro Paese, occorre fare attenzione ai parametri che si mettono a confronto. Nel 2011, infatti, secondo un rapporto del ministero del Lavoro, solo il 40% degli assunti ha ottenuto un posto fisso. «L’importante, tuttavia, è capire la percentuale a quale dato assoluto si riferisce. Un conto, infatti, è stabilizzare, per intenderci, il 1’% di mille persone, un altro, di centomila».  Quel che conta è che a Milano, in sostanza, l’offerta è maggiore che altrove. «E di parecchio. La disoccupazione giovanile si attesta al 20%; già di per sé, è una percentuale molto più bassa della media nazionale. Lo è ancora di più se consideriamo il fatto che in svariate zone si attesta tranquillamente al 55%».



Oltretutto, secondo Del Conte, la stabilizzazione è maggiore che altrove. «Con il tempo, Milano trasforma i rapporti a termini in rapporti a tempo indeterminato molto più che altrove». Ecco perché: «Il fenomeno della reiterazione di contratti a tempo determinato è tipico dei lavori poco qualificati. A Milano, invece, accade l’opposto. Il tasso di giovani laureati che si immettono per la prima volta nel mercato del lavoro è molto più elevato che in molte altre città. Costoro, prevalentemente, accedono a lavori qualificati, la cui specificità consiste nel fatto che un periodo di prova si rende necessario più che in altri. Ma, al contempo, si rende necessario anche fidelizzare il lavoratore con l’assunzione a tempo indeterminato». In questi casi, infatti, le aziende hanno bisogno che il dipendente non se ne vada. «Cercano di tenerselo investendo, magari, ulteriori risorse nella sua formazione».  II trend dipende della peculiarità del tessuto economico milanese. «Benché alcuni comparti storici come quello televisivo siano in crisi, la Città continua ad essere caratterizzata da alcuni settori in cui, tipicamente, sono richieste qualifiche di un certo livello, come la finanza, l’editoria, o la moda».



Se, tuttavia, il problema si verifica quando questi percorsi di lavoro non si consolidano, va detto che la riforma del mercato del lavoro, in tal senso, non aiuta. «Ha portato, di fatto, a un anno la possibilità di firmare contratti a tempo determinato senza causale. E per agevolare la stabilizzazione ha introdotto una semplice penalizzazione pari ad un aggravio contributivo dell’1,4% laddove essa non avvenga; aggravio che in caso di stabilizzazione sarebbe recuperato per soli sei mesi. A questo punto, l’aziende che non intendono comunque stabilizzare il dipendente si limiteranno ad assumerlo per un anno soltanto». 



 

(Paolo Nessi)