Sgominata a Milano la banda che rapiva i figli di coppie divorziate. Ma il problema vero è quello dell’affidamento dei bambini con genitori separati che fanno riferimento a due ordinamenti diversi. Tanto per i bambini quanto per i genitori. Perché «una banda che cerca di farsi giustizia da sé, ricorrendo al rapimento, sbaglia sempre». Tuttavia non si può nemmeno negare che essa «peschi su un problema reale: i giudici che si occupano dell’affido di figli di ex coniugi, infatti, non sempre sono equanimi con il genitore che non è della propria nazionalità». Non ha dubbi a riguardo Alda Maria Vanoni, milanese doc, magistrato e già presidente dell’associazione Famiglie per l’accoglienza. Prima il fatto. La Procura di Milano ha scoperto una banda che, nascosta dietro la facciata dell’organizzazione Ceed (Conseil européen des enfants du divorce) che da anni si batte contro «i rapimenti di bambini» da parte di genitori separati, in realtà era una vera e propria associazione per delinquere attrezzata al meglio per rapire essa stessa i figli di genitori separati affidati all’ex coniuge che vive in altro Paese.



Le indagini, condotte dalla squadra mobile di Milano, dal procuratore aggiunto e da due pm, riguardano il caso di una donna che nel febbraio 2010 rapì i due figli affidati all’ex marito tedesco. La donna è stata condannata in primo grado a un anno e quattro mesi per sottrazione di minore, ma è stata assolta dall’accusa di sequestro. Il dato più inquietante che è emerso è però il ruolo dell’associazione Ceed e del suo fondatore, un 52enne francese. L’uomo, finito agli arresti con altre quattro persone (una ancora irreperibile), è accusato di essere l’artefice del rapimento dei due figli della donna per 10mila euro. La giustizia ora farà il suo corso per accertare tutte le responsabilità del caso. Ma intanto la notizia è già stata ripresa dalle maggiori testate nazionali. E offre lo spunto per fare chiarezza su un aspetto che è facile passi in secondo piano.



«C’è un problema che non è risolto a livello internazionale. È quello degli affidamenti dei bambini coi genitori che fanno riferimento a due ordinamenti giuridici diversi», spiega Vanoni, «ci sono casi in cui per l’ex-coniuge straniero è molto difficile riuscire a mantenere dei rapporti con i propri figli. E questo è un problema innanzitutto per il bambino e anche per il genitore. In passato ci sono stati casi legati al diritto islamico dove era venuta a mancare la tutela soprattutto per le donne. Più di recente se ne sono sentiti di nuovi che vedevano coinvolti genitori tedeschi come nel caso in questione».



Ciò accade perché «spesso i giudici del Paese sono quasi istintivamente portati a dare ragione al coniuge della propria nazionalità e ritenere non meritevole di tutela l’altro genitore». Anche sul caso in questione Vanoni ha le idee molto chiare: «Questa banda, che – se il processo confermerà i fatti che abbiamo letto – resta una banda di delinquenti, fa leva su un’esigenza reale di molti genitori che si sentono non protetti, esclusi dalla tutela dei propri figli per un pregiudizio ideologico, per il fatto che chi li giudica è un magistrato della nazionalità dell’altro coniuge con cui sono in lite».

 

Quello dei genitori allontanati, forse ingiustamente, dai figli che restano in tutela all’ex-coniuge straniero è un problema serio «cui si dovrebbe provvedere con accordi nazionali e con una cultura umanamente più corretta da parte degli organi giudiziari che sappia tener conto delle esigenze di bi-genitorialità dei bambini». Un’ultima considerazione è quella relativa al rapporto dei media con questo tipo di notizie. Perché, relativamente alla famiglia, i giornali preferiscono sempre parlare di queste situazioni difficili e mai della normalità? Risponde Vanoni: «Questo dovreste dirmelo voi: voi parlate sempre di casi estremi e non parlate mai della normalità. Se uno si occupa dei propri figli e nipoti e ha una vita tranquilla non vi interessa come notizia».

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