Ieri il Consiglio Comunale di Milano ha iniziato a deliberare in merito al Regolamento per il riconoscimento delle unioni civili. Prima di ogni valutazione è necessario conoscere nel dettaglio la proposta, costituita da una bozza di Regolamento (di soli 3 articoli) elaborata da un gruppo di consiglieri comunali.

Prima firmataria è Marilisa D’Amico, ordinario di Diritto costituzionale nell’Università di Milano, e ciò ha fatto sì che la parte motiva della bozza di delibera consigliare sia molto ben costruita e argomentata. Le premesse della proposta di delibera sono fondate sugli artt. 1 e 5 dello Statuto del Comune di Milano che contengono richiami alla libertà, alla giustizia, alla pace, alla moralità, alla solidarietà, al riconoscimento dei diritti costituzionali delle persone e delle formazioni sociali, insomma una pur sintetica “apoteosi di principi” sui quali, inevitabilmente, si deve convenire anche se, poi, il vero problema è il contenuto dei principi: che contenuto hanno libertà, giustizia, moralità?



Dopo i principi la bozza ricorda due recenti sentenze della Corte costituzionale (n. 138/2010), della Corte di cassazione (n. 4184/2012), che si pronunciano in argomento,  nonché l’art. 8 della CEDU che riconosce “vita familiare” qualunque relazione stabile tra due persone e la direttiva del Parlamento europeo 2004/38 relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare a di soggiornare liberamente nel territorio dell’Unione, per ribadire il compito del Comune, nell’ambito delle proprie competenze, di promuovere pari opportunità per la unioni di fatto “favorendone l’integrazione sociale e prevenendo forme di disagio”.



Per raggiungere l’obiettivo il Comune – secondo la bozza di delibera – ritiene necessario organizzare il rilascio da parte dell’anagrafe di una attestazione di costituzione di famiglia anagrafica basata su un “vincolo di natura affettiva” come previsto dall’art. 4 del DPR 233/1989 (Regolamento Anagrafico) e, conseguentemente, dovrebbe  deliberare l’approvazione dei 3 articoli costituenti il “Regolamento per il riconoscimento delle Unioni Civili”.

La portata dispositiva del testo di Regolamento non pare, al di là dell’apparenza, particolarmente rilevante sul piano delle conseguenze. Il Comune non può introdurre alcuna regolamentazione di status che è di competenza del legislatore nazionale. Il rilascio del certificato attestante l’esistenza di una “famiglia anagrafica basata su vincolo affettivo” potrebbe risolversi – alternativamente – in una mera duplicazione di quanto già previsto dall’art. 4 del Regolamento Anagrafico oppure in una attestazione che sarà solo fonte di infiniti dubbi, equivoci e/o abusi.



Dunque: “tanto rumore per nulla?” E’ di tutta evidenza che il sindaco di Milano sta conducendo una battaglia di principi (a prescindere dalle reali conseguenze operative della delibera), il cui obiettivo è alla luce del sole: nell’ormai arcinota “società liquida” della postmodernità non ci sono punti fermi e gratificazione istantanea e felicità individuali hanno preso il sopravvento.

In nome del diritto alle scelte individuali di coscienza che si pretende fondamentale si invoca il principio di non discriminazione (o come fa il Comune di Milano, “il diritto ad un trattamento omogeneo”) per scardinare il fondamento del principio di uguaglianza che chiede che siano trattate in modo uguale situazioni in fatto uguali (e non diverse come il matrimonio e le unioni omosessuali). Non è difficile immaginare che l’attuale maggioranza del Consiglio Comunale approvi, nella sostanza, la bozza di delibera proposta. E’ una promessa elettorale ed una prova di forza rispetto al passato che non può essere persa!

Del resto, quand’anche ciò non avvenisse bisogna arrendersi all’idea che – presto o tardi – anche l’Italia, come tutti i paesi dell’Unione, si doterà di una legislazione in materia di famiglia di fatto con l’esplicita previsione del riconoscimento e della equiparazione delle unioni omosessuali. L’uomo misura di tutte le cose e il positivismo giuridico non accettano nulla fuori dalla legge, e il singolo diritto umano dell’uomo astratto fa fuori, in un lampo, l’uomo storico, la sua tradizione millenaria, il suo bisogno reale. E’ difficile oggi ragionevolmente immaginare che tale traiettoria cambi direzione o che si fermi per una doverosa riflessione. Come sempre dunque “ai posteri l’ardua sentenza” di manzoniana memoria, sulla reale e concreta positività delle scelte che l’ente Locale o il legislatore nazionale vorranno fare. E’ importante, però, tenere aperta la domanda: “Milano sta facendo un passo di civiltà?”