La polemica sollevata dall’articolo di “Repubblica” che racconta il caso di molti negozi in quartieri periferici abbandonati da anni perché hanno un costo di affitto proibitivo, porta certamente a riflettere su come la pianificazione urbanistica condiziona la vita di molti cittadini in molte aree urbane periferiche. Nel dettaglio, l’articolo si soffermava sul caso di tre giovani residenti al quartiere Gratosoglio che volevano prendere in affitto un locale presentando un progetto di impresa (premiato dalla camera di commercio) per dedicarlo alla street art e alla grafica. Ma dovranno abbandonare perché il costo 2100 euro al mese per 93 metri quadri, è per loro proibitivo.
E’ un esempio che altro non è che la classica goccia che fa traboccare il vaso. La cronaca riportata dall’articolo analizza attentamente l’episodio e lo illustra esclusivamente da un punto di vista economico. Il mercato immobiliare, gli elevati costi degli affitti, certo determinano malcontento, incapacità, finanche impossibilità per nuovi imprenditori di attivare nuove iniziative. Per mio conto però l’analisi andrebbe approfondita o quanto meno osservata anche sotto il profilo urbanistico. L’oramai “quasi” pensionato P.R.G. Piano Regolatore Generale ha i giorni contati: a breve il datato strumento urbanistico della città di Milano verrà sostituito dal P.G.T. Piano Generale del Territorio. Tale passaggio potrà determinare notevoli cambiamenti al tessuto urbano della città. Dibattiti più puntuali potranno essere aperti. Al momento consente, ancora una volta, solo, di criticare l’obsoleto strumento ancora per poco vigente.
Credo che alcune situazioni determinatesi, simili a quelle oggi descritte, siano, appunto causa di una miope pianificazione. Questo accade, pur se molti imprenditori e anche molti progettisti, da anni segnalano la necessità di distribuire con maggior attenzione le destinazioni d’uso che è necessario costituire nel momento della costruzione di un edificio. Spesso l’obbligo di costruire in una palazzina periferica svariati metri quadrati di “funzioni compatibili” (negozi, spazi pubblici, uffici) là dove palesemente la richiesta del “mercato” è orientata ad altro, costituisce un non irrilevante “peso” per gli imprenditori, che difficilmente riescono poi ad alienare destinazioni d’uso differenti dalla residenza. Poi negli anni questi spazi inutilizzati costituiscono un fardello che le proprietà sperano di alleggerire attraverso richieste di canoni di locazione assolutamente fuori mercato. Se poi tutto ciò si coniuga con situazioni di degrado urbanistico, crisi economica, e ridotte disponibilità, dei nuovi imprenditori, questa miscela può causare episodi come quello citato.
Forse indietreggiare, riducendo pretenziose richieste economiche potrebbe essere una soluzione. L’uso di un bene edilizio lo preserva certamente dal degrado. Uffici e negozi che per anni sono rimasti sfitti, difficilmente potranno essere proposti al mercato a costi vantaggiosi per le proprietà. La loro immagine, soprattutto commerciale è quasi sempre irrecuperabile, con difficoltà riaccolta dal mercato.
Per questo motivo si spera che il nuovo strumento urbanistico sia in grado di riequilibrare il territorio, nel tentativo di distribuire con più attenzione il patrimonio edilizio ancora da edificare o quello da ristrutturare. Molto spesso in passato nella rincorsa alla più bieca “occupazione edilizia” ci si dimenticava che alcune zone della città hanno subito radicali cambiamenti e che quindi certamente un più flessibile strumento urbanistico avrebbe dovuto adeguarsi alle nuove esigenze guidando e condizionando i cambiamenti che il territorio subiva.
In futuro la possibilità di modificare le destinazioni d’uso, liberamente, salvo nel centro storico o in alcuni immobili vincolati, determinerà l’immissione e la ridistribuzione di nuovi spazi sul territorio. Ci si augura che tali cambiamenti conducano a maggiori riflessioni sia nelle richieste di canoni di locazione più abbordabili che in un calmieramento dei prezzi di vendita degli immobili. Tale riflessione comunque tardiva andrebbe già ora suggerita a tutti coloro che ancora agognano di poter vendere o affittare i loro beni a prezzi oramai non più accettati dal mercato immobiliare.
Un suggerimento che certamente solleverà molte critiche: le valutazioni immobiliari andrebbero richieste a tecnici qualificati, urbanisti, progettisti, imprenditori del settore con pluriennale esperienza. Invece quasi sempre ci si rivolge a inesperti “agenti immobiliari”, in realtà gestori di agenzie immobiliari, (spesso in franchising) che dalle scuole superiori, cambiandosi però d’abito e mettendosi la cravatta (quasi sempre vestito nero con cravatta verde o comunque variopinta…), illudono i clienti proponendo stime di vendita assolutamente esorbitanti e inesatte.
Un tetro abbigliamento, sia detto scherzando, che pare adatto esclusivamente al momento economico o forse a qualche diversa più triste, ma più onesta professionalità.