Cala la fiducia degli imprenditori milanesi. Anzi si può addirittura affermare che è in picchiata: le rilevazioni del febbraio scorso indicano che negli ultimi dieci mesi è diminuita di ben sette punti, attestandosi a 29,4 su 100. Questo uno dei dati raccolti nel rapporto annuale “Milano produttiva 2012”, curato da Camera di Commercio e Ispo che, però, si rivela persino positivo rispetto a quello registrato nel resto del Paese. La crisi economica mondiale, ma soprattutto la situazione di incertezza politica, ha spinto gli imprenditori del capoluogo lombardo a non investire e ad attendere i prossimi passi del Governo in materia di riforme economiche. La difficoltà legata all’accesso del credito è l’altro pesante problema che lega le mani anche a chi desidera investire: delle 500 aziende interpellate da Ispo, il 25% di quelle che ha chiesto un aiuto agli di istituti di credito non è stata ascoltata e un altro 28% ha ricevuto risposte parziali. Milano, però, anche stavolta riesce a distinguersi e a dare un piccolo segnale di speranza: un imprenditore su tre è intenzionato ad investire e lo fa credendoci fermamente, mentre uno su quattro scorge timidi segnali di ripresa nel panorama economico. Fiore all’occhiello delle realtà imprenditoriali meneghine sono, anche quest’anno, gli stranieri, che gestiscono il 25% del totale delle imprese sul territorio e che, nel 2011 sono cresciute dello 0,5%. Un capitolo a parte è dedicato al mondo dei giovani che, come altrove in Italia, stentano a trovare un lavoro stabile: cresce, infatti, di ben il 25,9% il numero degli impieghi non stabili e di quello autonomo, + 5,2%. In città cresce poi di ben il 14% la quota di ragazzi non scolarizzati e disoccupati, attestandosi a 72mila unità. Un dato che si va ad aggiungere ai 20mila che sono completamente scoraggiati e che non vedono via d’uscita allo stato di crisi. Abbiamo chiesto per ilSussidiario.net, un commento al segretario generale della Camera di Commercio di Milano, Pier Andrea Chevallard.



Fiducia degli imprenditori in calo, ma qual è il vero stato di salute delle imprese milanesi in questo periodo di crisi? 

Nonostante il clima di incertezza e di crisi che ha caratterizzato lo scenario nazionale e internazionale degli ultimi tre anni, Milano resiste grazie al suo dinamismo imprenditoriale e alla sua vocazione internazionale. Ma le imprese continuano a rimanere scettiche circa la possibilità di una ripresa economica del Paese a breve termine. L’indice di fiducia a febbraio è infatti sceso di quasi 7 punti rispetto ad aprile 2011, mentre l’accesso al credito rimane una delle maggiori difficoltà per le aziende che ne hanno bisogno per risollevarsi da situazioni difficili.



C’è una previsione o segnali confortanti che indicano l’inizio di un periodo migliore? 

Alcuni segnali ci sono: basti pensare all’incoraggiante saldo positivo di quasi 8 mila unità tra le imprese iscritte e cessate a Milano o ai dati di crescita dell’export, +9% circa in un anno. E se per il 2012 le previsioni sono ancora pessimistiche, migliorano quelle a medio termine e oltre un imprenditore su tre ritiene che la maggior parte delle imprese stia dimostrando una buona capacità di reazione e quasi uno su quattro comincia a vedere i primi segnali di ripresa. Questo fa ben sperare ma da solo non basta a ridare fiducia. Occorre sicuramente un impegno comune delle istituzioni che puntino con azioni sinergiche al rilancio dell’economia, del lavoro e al miglioramento infrastrutturale che è alla base di un territorio competitivo.



Ci sono settori che stanno mostrando segnali di ripresa o registrando un buon andamento nonostante la crisi?

Nonostante le difficoltà, è positivo l’andamento del settore manifatturiero, che ha registrato nel corso del 2011 una crescita della produzione del 3,1% grazie in particolare al trend della prima parte dell’anno. Un aumento legato in particolare al fatturato realizzato nei mercati esteri che ha registrato un +5,3%. Bene soprattutto i settori portanti del manifatturiero provinciale: meccanica (+4,8% nella produzione), chimica (+5,7%) e gomma-plastica (+4,2%). Più difficile la situazione di commercio e servizi con volumi d’affari nel complesso in leggero calo rispettivamente dell’1,8% e dell’1,3%.

Quali sono i settori in cui Milano eccelle rispetto al resto del Paese e quelli, invece, in cui fatica maggiormente? Rispetto, invece, al resto dell’Europa?

Più che di un settore in particolare parlerei di un elemento positivo per cui Milano eccelle sia in Italia che in Europa: la sua capacità di attrarre investimenti diretti dall’estero che la pone come protagonista assoluta in Italia e al nono posto in Europa, precedendo città come Dublino, Zurigo, Stoccarda e Bruxelles. Questo grazie a una produttività del lavoro e del totale dei fattori maggiore rispetto al resto d’Europa che rende conveniente spostarsi per investire nel capoluogo lombardo.

Milano e la Lombardia luoghi preferiti dalla micro-imprese, soprattutto condotte da donne e stranieri. È ancora così? Qual è la tendenza?

Sì, è ancora così, specialmente per quanto riguarda le imprese straniere, che rappresentano ormai una nuova iscrizione su cinque a Milano nel 2011. Sono infatti quasi 32 mila e attive in particolare in ristorazione e alloggio, nelle costruzioni e nel commercio. E proprio le ditte individuali con titolare straniero, rispetto allo scorso anno, segnano una crescita dell’8,5% che diventa di ben il +145,8% negli ultimi dieci anni. Le comunità imprenditoriali più presenti a livello numerico continuano ad essere quella egiziana, cinese e rumena mentre aumenta la presenza di quelle del Bangladesh, dell’Ucraina e della Moldavia. Molto dinamiche sono anche le donne imprenditrici, che costituiscono una solida realtà del nostro territorio, sia perché stimolate da politiche nazionali e comunitarie sia perché l’iniziativa economica è spesso un’alternativa al lavoro dipendente nell’ottica di una maggiore flessibilità e conciliazione dei tempi famiglia-lavoro. Le aziende rosa milanesi sono infatti oltre 57 mila, pari a un quinto delle operative, occupano circa 140 mila addetti e operano soprattutto nei servizi e nel commercio. 

Qual è il trend di import ed export?

L’apertura internazionale rappresenta sempre di più una via privilegiata alla crescita. In questo senso, Milano si conferma un’area competitiva con una forte tendenza delle proprie imprese all’internazionalizzazione. Positivo quindi il quadro delle esportazioni, che nel 2011 sono cresciute dell’8,8%, sopravanzando i livelli pre crisi. Con principale destinazione l’Unione Europa, che da sola rappresenta il 58% dell’export complessivo, ma con flussi in crescita verso i Paesi emergenti, in particolare verso la Cina, il Brasile, la Turchia e la Russia, che appaiono sempre più strategici per l’economia milanese. Aumenta anche l’export verso i Paesi dell’area del Mediterraneo e del Golfo. E sono in particolare i settori tradizionali del made in Italy – dal sistema moda a quello della casa e del design, ma anche l’alimentare, la meccanica e l’elettronica – a mostrare i migliori tassi di crescita delle esportazioni, grazie alla capacità di molte imprese di intercettare la domanda di prodotti di fascia alta proveniente soprattutto dai Paesi a maggiore crescita. Diminuiscono invece le importazioni, che segnano un -3,8% a causa del forte calo della domanda.

Ci sono dati relativi alla disoccupazione? Qual è l’andamento? Come si collocano Milano e la Lombardia rispetto al resto del Paese?

Anche il mercato del lavoro a Milano, come pure in Lombardia, nonostante le difficoltà, tiene e, mentre il tasso di disoccupazione rimane sostanzialmente stabile intorno al 5,8%, cresce sensibilmente l’occupazione, soprattutto grazie agli stranieri e al lavoro autonomo. Sul fronte del lavoro dipendente aumenta invece il ricorso a contratti a tempo determinato. Ma è specialmente tra i giovani che cresce il peso degli inattivi e della cosiddetta generazione NEET, acronimo di “Not in Education, Employment or Training” (persone senza lavoro, che non ricevono istruzione e hanno rinunciato a cercare un’occupazione). Un fenomeno degli ultimi anni, che desta preoccupazione anche perché la sua incidenza in Italia, pari al 19,1%  nel 2010, è molto superiore a quella media europea del 12,7%. A Milano sono oltre 72 mila i giovani con meno di 30 anni che non studiano e non lavorano e rappresentano il 13% della popolazione di quella fascia d’età, una percentuale quindi inferiore rispetto a quella nazionale e in linea con quella europea, ma se di questi quasi 52 mila sono in cerca di occupazione, almeno 20 mila risultano “scoraggiati”, ovvero non studiano, non lavorano e non cercano un’occupazione. Il mercato del lavoro si conferma quindi come uno degli elementi cardine da cui ripartire, anche attraverso azioni di sostegno all’imprenditorialità, specialmente giovanile, che può costituire una grande risorsa alternativa al lavoro dipendente e una valida via per l’autorealizzazione.

(Federica Ghizzardi)