Dopo il registro delle unioni civili e in attesa delle cosiddette “stanze del buco” (luoghi controllati dove un drogato può iniettarsi in vena eroina o altre sostanze stupefacenti, senza doverlo fare di nascosto per strada), Milano si prepara a istituire il registro del testamento biologico. “Ogni individuo ha il diritto di esprimere le proprie volontà rispetto al rifiuto dell’accanimento terapeutico e del prolungamento forzato della vita in condizioni di coma irreversibile o di disagio estremo”, si legge in un paragrafo del documento inserito nella nuova Carta dei diritti del malato che dovrebbe essere varata a settembre all’interno del Piano di zona sul welfare comunale. “Noi collochiamo l’obiettivo nel Piano. Poi ovviamente dovrà essere il consiglio a deliberare l’introduzione del registro. Come ha già fatto con coraggio per le unioni civili”, ha detto l’assessore alle Politiche sociali, Pierfrancesco Majorino, secondo cui Milano “deve essere sempre di più la città che indica la direzione su questo terreno”. Insieme a Carlo Masseroli, capogruppo del Pdl in Consiglio comunale, commentiamo le varie decisioni della giunta Pisapia.



Come giudica la volontà di  istituire il registro del testamento biologico?

Credo che affrontare un tema del genere in maniera così superficiale sia realmente problematico. Dietro la volontà di istituire il registro del testamento biologico si nasconde un tema delicatissimo, vale a dire la possibilità che si introduca la facoltà arbitraria di decidere quando la vita debba essere interrotta o meno.



Qual è l’aspetto che la convince di meno?

Soprattutto la decisione che può prendere una persona redigendo il proprio testamento biologico: in quel momento si può anche ritenere che in certe condizioni la vita dovrebbe terminare, ma non si può sapere cosa davvero accadrà in futuro, quindi viene lasciato uno spazio di arbitrarietà molto delicato. E’ poi comprensibile che vi sia un certo consenso generale rispetto al fatto che una persona possa liberamente decidere quando morire, ma questo mette in evidenza due aspetti.

Quali?

Innanzitutto la grande paura nei confronti del dolore, un qualcosa di cui la nostra società fatica a riconoscere il significato e da cui si può scegliere di fuggire. Inoltre è necessario rendersi conto che non abbiamo deciso noi di esistere, di essere come siamo, e che quindi la vita ci è stata data da qualcuno. L’assenza di questo riconoscimento determina il fatto che qualcuno possa arbitrariamente decidere quando sia il momento di interrompere la propria vita o far cessare quella di qualcun altro, come se questa non avesse un’ultima dipendenza che non è di natura umana.   



Come considera il fatto che il Comune voglia entrare in questo dibattito?

Assolutamente fuori luogo. Il fatto che in Italia non esista una legge specifica sul testamento biologico non dimostra l’arretratezza di questo Paese ma mette in evidenza la grandissima delicatezza di questo tema. Il Comune, entrando a gamba tesa su questo tema, crea ancora più confusione prendendosi una responsabilità che non gli appartiene.  

Perché la giunta Pisapia introduce oggi un tema come questo?

Come nel caso delle unioni civili, si tratta di un tema di grande visibilità ma che non possiede alcuna efficacia dal punto di vista amministrativo. In un momento così difficile per il Paese e per ogni singola città le responsabilità di un’amministrazione sono tante e delicate, quindi credo che un dibattito come questo, assolutamente importante ma su cui il Comune non ha competenze, non fa altro che spostare l’attenzione da altri temi senza dubbio prioritari.  

Dal registro delle unioni civili a quello del testamento biologico, fino alle stanze del buco. Secondo lei che idea si è fatto Pisapia della Milano di domani?

Il sindaco sta usando la città per trattare temi di livello nazionale, facendolo in modo profondamente ideologico e senza alcuna rilevanza dal punto di vista amministrativo. La vera rilevanza di questi argomenti è solamente dal punto di vista mediatico, ma in questo modo si perdono di vista le reali problematiche del territorio. Se Pisapia non ritiene abbastanza interessante amministrare una città come Milano, allora farebbe bene a candidarsi alle prossime elezioni politiche.

 

(Claudio Perlini)