Se non vi è bastato leggere le 490 pagine della versione italiana del romanzo di Mordecai Richler, se non vi siete accontentati della trasposizione cinematografica di Richard J. Lewis con Paul Giamatti e Dustin Hoffman come protagonisti, se volete confrontarvi ancora con “La versione di Barney”, l’occasione si presenta da oggi, giovedì 20 settembre, fino a mercoledì 26, al Teatro Carcano di Milano. Qui il poliedrico attore Antonio Salines vestirà i panni di Barney Panofsky, il produttore televisivo di successo che, varcata la soglia dei 60 anni, si mette a scrivere la sua biografia per dare la sua “versione dei fatti” e liberarsi da un’accusa di omicidio lanciata in un libro dallo scrittore Terry McIver, suo antico compagno d’avventure. Una versione in cui però, a causa della sindrome di Alzheimer che affligge Barney, i fatti di un tempo si attorcigliano con quelli dell’oggi. Di questa “versione della versione” ilsussidiario.net ha parlato con il regista Carlo Emilio Lerici, che ha dato tempi e spazi alla scrittura teatrale di Massimo Vincenzi.



Com’è la sua “versione di Barney”?

È praticamente un monologo di Antonio Salines, alias Barney Panofsky. Unico attore in scena, dialogherà in modo del tutto particolare con gli altri attori che partecipano a questa opera teatrale. Lui in scena dal vivo, gli altri in video, girato da un regista cinematografico di grande valore, Enzo Aronica.



È stato difficile trasporre questo romanzo così particolare in un’opera teatrale?

No, perché è un lavoro che io e Massimo Vincenzi, l’autore del testo teatrale italiano, avevamo già fatto prima che nel 2010 venisse presentata in concorso al Festival del cinema di Venezia l’ormai famosa versione cinematografica. E poi io e Vincenzi costituiamo un solidazio artistico di grande importanza, abbiamo all’attivo insieme ben dieci spettacoli teatrali.

Su cosa si è soffermato, in particolare a livello scenico, per rendere più attuale e più vera quest’opera?

Ho cercato di descrivere il personaggio di Barney Panofsky in tutta la sua fatica ad associare fatti, ricordi della sua vita, a causa del male che lo affligge, il morbo di Alzheimer, che rende i suoi pensieri disordinati, quasi frastornati. Ho delineato un personaggio in sé molto ironico, per un’opera teatrale che mantiene una contemporaneità straordinaria.



Come ha scelto il cast di quest’opera?

In effetti sono attori di cui conoscevo la professionalità e la bravura, avendo già collaborato con loro. In particolare Antonio Salines è un attore che conosco sin da piccolo, uno dei più grandi attori italiani, con cui ho stabilito negli anni un rapporto che va anche di là dell’ambito teatrale.

 

Che tipo di lavoro ha fatto con gli attori per cogliere l’obiettivo che si era prefissato con questa “versione di Barney”?

 

Ho lavorato molto sui dialoghi, stando attento a tutti i particolari che sono la caratteristica di quest’opera. E il pubblico e la critica se ne sono accorti, decretandoci un grande successo. Sia nella scorsa stagione teatrale che ora al Teatro Belli di Roma. E speriamo di riscuotere analogo consenso anche a Milano.

 

Secondo lei, qual è il messaggio più vero di questo romanzo?

 

L’ironia. L’elemento conduttore di quest’opera è l’ironia, è questa che la rende piacevole fino in fondo.

 

Ma Barney Panofsky è veramente, come sostengono in tanti, il vero Richler? Anche per lei è così?

 

A me colpisce proprio l’ironia di Barney, questo personaggio che si trova a fare un bilancio della sua vita, afflitto com’è dal morbo di Alzheimer. Se ci sono elementi autobiografici della vita di Richler? Lui diceva di no, ma io credo che uno scrittore lascia sempre qualcosa di sé in quello che scrive. Richler era un grande bevitore e fumava sigari. Proprio come Barney.

 

Ha letto altre opere di Richler?

 

Certo, e devo dire che Richler è uno dei più grandi scrittori mondiali.

 

Quando uscì in Italia, nel 2001, questo romanzo fu un caso letterario, con oltre 100mila copie vendute in brevissimo tempo. Marketing o c’è qualcosa che lo rende particolarmente affascinante?

 

Mi ripeterò, ma penso proprio che la caratteristica principale di questo romanzo è che riesce a mantenere sempre uno spirito ironico sulle cose. Per quanto riguarda il suo successo in Italia, Paese che non eccelle per numero di lettori, non mi sbilancio. Ma forse l’ironia c’entra qualcosa.

 

(Franco Vittadini)