Milano protagonista della settimana della moda che fino al 25 settembre porterà nella nostra città acquirenti da tutto il mondo. Ben 131 collezioni per la primavera-estate 2013, con 70 sfilate e 53 eventi su appuntamento. Il cuore della kermesse sarà Palazzo dei Giureconsulti, ma a ospitare le sfilate saranno anche la sede del Circolo Filologico, Palazzo Clerici, la tensostruttura del Castello Sforzesco e, per la prima volta quest’anno, l’antico palazzo della Regione. In calendario anche una serie di appuntamenti culturali, tra cui la mostra “Gli anni ’90 nelle copertine delle riviste di moda e società”, che sarà inaugurata il 19 settembre, e “Il Terzo Paradiso per il manifesto di sostenibilità della moda italiana”, che sarà presentata da Michelangelo Pistoletto e che è dedicata al nesso tra ambiente, arte e moda. Ilsussidiario.net ha intervistato Paola Varacca, professoressa dell’area Strategia dell’SDA Bocconi.



Sotto quali auspici si è svolta la settimana della moda?

Sicuramente non viviamo in un momento particolarmente brillante. Ci auguriamo che questa settimana porti dei frutti, anche perché si vende la stagione primavera-estate 2013 e possiamo quindi auspicare che sia l’inizio di un periodo positivo per i punti vendita e per i clienti.

Quali sono le strategie messe in campo dalle aziende che partecipano agli eventi?

Gli sforzi da parte delle aziende sono stati notevoli, il loro tentativo è quello di migliorare costantemente la qualità della loro offerta, mantenendo il giusto prezzo. Negli ultimi mesi hanno fatto quindi di tutto per essere competitive, e mi auguro che il mercato dia loro ragione.

In che modo si è cercato di migliorare l’offerta?

L’impegno delle aziende è stato quello di mettere a punto dei prodotti innovativi, con degli aspetti di differenziazione rispetto agli altri e che consentano di lavorare bene sul mercato. Questo nonostante la crisi molto pesante e che nessuno può negare. Ci sono poi delle aziende che hanno dei propri canali e altre che si servono di intermediari. Anche la distribuzione è infatti un aspetto che va molto curato.

Quali strategie risultano vincenti?

Io sono contraria a fare di tutta l’erba un fascio. Al di là del fatto di concentrarsi su prodotti apprezzati per il valore che realmente possono avere in termini intrinseci, ci sono aziende che operano in segmenti diversi e propongono delle merceologie particolari. Non mi sembra particolarmente opportuno fare un discorso unico per ciascuna di esse.

 

In che modo sta cambiando il panorama della moda milanese?

 

A Milano il nuovo polo della moda, un’area destinata a questo settore, potrebbe essere sicuramente un’occasione per rafforzare il tessile e per cogliere le opportunità offerte dalla città.

 

La certificazione della filiera del made in Italy può essere un modo per offrire qualcosa in più ai clienti?

 

Sicuramente sì. Anche in questo caso occorre distinguere tra quei consumatori che sono attenti a questo aspetto e quelli che sono invece più attratti da caratteristiche estetiche, tendono ad acquistare d’impulso o non sono comunque particolarmente attenti a guardare dove è stato fabbricato il prodotto. Io quando mi reco in un negozio osservo sempre queste caratteristiche, altri invece non lo fanno. La certificazione della filiera riguarda quindi quei consumatori che sono più consapevoli e sofisticati.

 

Sarebbe favorevole all’introduzione di un “bollino blu” del made in Italy?

 

Il punto è che poi occorrerebbe capire che cosa rappresenta quel “bollino blu”, chi lo rilascia e che tipo di visibilità può avere nei confronti del consumatore. Un generico bollino non significa nulla, bisogna che dietro ci siano dei fattori concreti tali da renderlo un elemento di distinzione.

 

Una certificazione sarebbe una garanzia anche per i consumatori meno esperti …

 

E’ chiaro, ma anche in questo caso occorre vedere come è comunicata la certificazione. Se io la esprimo e la veicolo in modo efficace verso il consumatore finale, può funzionare e dare risultati positivi.

 

(Pietro Vernizzi)