La morte di un uomo di Dio, non solo un ecclesiastico, ma proprio di uno spirito evidentemente religioso, è sempre l’occasione per ricordare quanto possa essere decisivo il rapporto con il Mistero. E martedì mattina la lettera del presidente della Fraternità di Cl, Julián Carrón, ha come arricchito questa opportunità. Sulla morte del cardinale Carlo Maria Martini, per 22 anni guida della Diocesi di Milano, gesuita e grande studioso della Bibbia, si sono infatti scritti fiumi di parole. Come spesso accade in Italia, essa è diventata a volte un pretesto per strumentalizzare, dividere, persino per denigrare la Chiesa cosiddetta “arretrata”, contrapponendola ad una presunta “Chiesa illuminata”, rispolverando l’immagine distorta di un “anti Papa” milanese, così lontano e diverso da Roma. 



Carrón invece con la sua lettera al Corriere ha tagliato di netto il nodo di questa (un po’ odiosa e ingiusta) polemica. Ribaltando la prospettiva, che nella geopolitica ecclesiastica avrebbe visto sempre Cl da una parte e l’arcivescovo di Milano, appena scomparso, dall’altra. C’è qualcosa di geniale e necessario, anche per tutti noi, in questo cambiamento di atteggiamento. E forse anche di profetico. È giusto forse allora entrare meglio nella logica della lettera. Quando infatti Carrón ricorda il cuore dell’insegnamento martiniano, cita la Resurrezione, “il momento culminante” della vita di Gesù. Personalmente devo proprio ad un piccolo libretto di Martini sulla Sindone di Torino (intitolato “Il Dio nascosto”) la messa a fuoco, semplice e profonda, della discrezione con cui Gesù Cristo risorge, quasi tornando a riprendersi quel corpo umano, che il rifiuto violento degli uomini gli aveva negato fino allo strazio della Croce. Ecco perché non esisterà mai una prova schiacciante, scientifica e definitiva della Resurrezione. Toccherà per sempre ogni giorno, ad ogni essere umano, decidere se credere o no. Il Dio onnipotente non si è imposto, come pure avrebbe potuto, ma ha voluto proporsi all’uomo, conquistando la sua libertà.



L’ecumenismo di Martini, la sua capacità di dialogo coi non credenti, coi lontani, nasce da qui. Da una grandissima fede nella Resurrezione e insieme nella libertà umana. Quella “tensione del Cardinale a intercettare ogni briciolo di verità che si trova in chiunque incontriamo” è il primo punto che il presidente di Cl ricorda. Don Giussani a volte raccontava l’episodio dell’incontro casuale su un aereo diretto in Brasile col grande filosofo Jean Paul Sartre. Sartre, visto che gli avevano assegnato il posto nel velivolo vicino a don Giussani, riconoscendo il colletto di quel giovane prete sconosciuto, aveva chiesto di sedersi da un’altra parte. “A me invece”, raccontava il Gius, “sarebbe piaciuto molto conoscerlo e parlargli e questo dice oggettivamente qual è la posizione umana migliore…”. 



Il secondo punto ricordato dalla testimonianza di Carrón è la carità: “Dobbiamo fare”, ha scritto “tesoro di questo desiderio di intercettare questo bisogno degli uomini che l’Arcivescovo incontrava lungo il cammino della vita”. La dimensione dell’azione umana evocata non come un progetto, una pretesa, una “lezione”. “La nostra epoca ha bisogno di testimoni più che di maestri”, ha ricordato citando Paolo VI. Gli uomini di oggi non hanno bisogno di egemonia ma di presenza. Chi non è testimone non è neanche vero maestro. Chi non è dentro un disegno, propone se stesso. Usiamo pure la parola un po’ consunta “servizio”: chi non è al servizio del Mistero può anche costruire e agire ma lo farà, volente o nolente, fatalmente per conto del Potere, magari pensando di farlo per se stesso. 

Martini era “un uomo di Dio” e anche come tale, prima di lasciare il suo lungo incarico ambrosiano, aveva affrontato la questione dei rapporti coi Movimenti e le associazioni laicali: “Chiedo perdono ai gruppi, alle associazioni, ai movimenti che si fossero sentiti poco valorizzati o sostenuti da me. Ho sempre goduto di fronte a testimonianze autentiche di vangelo vissuto, dovunque si trovassero, ma ho avuto anche difficoltà nel comprendere alcune logiche che mi sembravano particolaristiche e autoreferenziali”, aveva scritto in una lettera pastorale. Per poi aggiungere: “Come Vescovo ho sentito una istintiva preferenza per la centralità della pastorale diocesana e parrocchiale”. E infine: “affido alla misericordia di Dio la maturazione dei semi di bene lanciati nel dialogo che mi pare avere sempre cercato”. 

Le parole scritte ieri da Carrón sul Corriere sembrano in qualche modo allora “rispondere” nel dialogo “sempre cercato” fra Martini e Cl: “Ci rincresce e ci addolora”, ha scritto il presidente della Fraternità, “se non abbiamo trovato sempre il modo più adeguato di collaborare alla sua ardua missione e se possiamo aver dato pretesto per interpretazioni equivoche del nostro rapporto con lui, a cominciare da me stesso”. Un “dialogo” commovente che, semmai ce ne fosse ancora bisogno, ci fa stupire. La Chiesa è quel pezzo di umanità (e anche di santità) che fra mille peccati e nefandezze resta un luogo privilegiato di Grazia.

Viene da dire: Grazie Signore che costruisci la tua Chiesa anche attraverso il nostro nulla, le nostre povere e a volte meschine diatribe, attraverso grandi testimoni, “uomini di Dio”, che hanno lasciato il segno nelle nostre vite. Come il cardinal Carlo Maria Martini.

Leggi anche

LETTERA/ Martini e Giussani, due "alleati" contro la nostra presunzioneCARRON SU MARTINI/ Soncini (Ac): un lavoro comune per l'unità della ChiesaCARRON SU MARTINI/ Mazzotta: il cardinale e Giussani, una sola lezione sul potere