Ci sono dibattiti che noi elettori lombardi, chiamati tra un mese a scegliere il nuovo inquilino di Palazzo Lombardia, dovremmo trovare cruciali. Invece suonano incomprensibili, per addetti ai lavori. Pier Luigi Bersani, parlando ieri in “polemica seria e aperta con Monti” proprio del voto lombardo, dice: “Non è una banalità guardare in faccia il rischio che Berlusconi e la Lega tengano ancora il comando”. E dunque? Cerca sotto la Madonnina l’improbabile patto di desistenza che non ha trovato con Ingroia? Per farne che? Gli risponde, trasversale, Gabriele Albertini: “La richiesta di Bersani non l’ho capita. Mi si accusa di essere colui che fa vincere Maroni? Me se i sondaggi dicono che pesco nell’elettorato centrodestra…”. Roberto Maroni ha preferito sbrigarsi su Twitter. “Bersani chiede a Monti l’inciucio in Lombardia per farmi perdere – cinguetta –. Dopo lo scandalo Mps vogliono mettere le mani anche sulle banche lombarde”. L’elettore lombardo ripensa a Crediteuronord, e si rafforza nell’impressione che tutto questo non riguardi lui.
Il dibattito che vorrebbe sentire riguarda le cose concrete, i fatti. Che sono anche più dei programmi. Vorrebbe sapere cosa capiterà davvero – ad esempio al suo sistema di Welfare, o al “buono scuola” – se vincerà la sinistra di Umberto Ambrosoli. Questo però non si è ancora ben capito, si è capito solo che il Pd ha più che altro paura di perdere il premio di maggioranza al Senato (che è un’altra scheda, ma vallo a spiegare). Mentre se vincesse Albertini sarebbe tutto chiaro – forse con una punta di moralismo da primi della classe di troppo, e nel giorno in cui anche i moralizzatori del Pd alla Pippo Civati finiscono sulla lavagna dei cattivi il moralismo si fa ancora più insopportabile. Ma tanto Albertini non vince. Così è forse per questo – certo non per Balotelli o per le performance in tv – che i sondaggi in Lombardia dicono che l’elettorato moderato, parte di quello cattolico, e persino parte di quello ciellino, sta puntando su Maroni. Non sarà la scelta “per il cambiamento”, che a sentire la vox populi tutti vorrebbero, ma chi lascia la via vecchia per la nuova…
La vera questione che ci si dovrebbe porre è che cosa succede se Maroni vince davvero. Il “sistema Lombardia” è un buon sistema sostenibile. Resterà uguale, con un forte spostamento in chiave antieuropea nella terra che è un motore del Pil dell’Europa? Con il 75 per cento di tasse rivendicato (a vuoto, of course) e altre utopie e populismi? Il problema è insomma la natura di questa riedizione del centrodestra – il Forzaleghismo 2.0, verrebbe da chiamarlo – spostato verso l’estrema perché, intanto, il posto al centro era stato occupato.
Qual è la sua compatibilità con quell’elettorato che, senza farsi particolari illusioni, fino a qualche mese fa sperava – fossero le primarie, fosse il giovane e già esodato Alfano – in un Pdl sempre più simile al Ppe? Su questo Albertini (ma tanto perde) ha gioco facile: “Il Pdl è sotto osservazione. Se si dice che c’è un complotto della Germania, che è opportuno uscire dall’euro, e se ci si allea con un partito come la Lega che sull’euro vuole un referendum è assai complicato essere compatibili con i valori del Ppe”. Del resto, quando invece Mario Monti, di cui Albertini si sente il luogotenente lombardo, dice: “La nostra coalizione si è costituita sulla base di una valutazione: fare le riforme economiche sociali per la crescita e l’equità. Alcuni aspetti di temi eticamente sensibili non sono meno importanti ma meno urgenti per il sistema Italia”, la faccenda della compatibilità con i “valori del Ppe” che a tanti elettori starebbe a cuore, si ribalta. E neanche di poco.
Sono questi forse i due punti che più rilanciano la questione Lombardia sul panorama nazionale. Perché, posto che l’impressione è che al Pd non importi granché della Lombardia ma molto più che il famoso effetto traino sul voto sposti l’equilibrio del Senato, mentre invece all’elettore del centrodestra lombardo importa più cosa accadrà in Lombardia, la domanda è che cosa potrà essere a livello nazionale questo nuovo Forzaleghismo 2.0 – il cocktail un po’ imbevibile uscito dallo shaker del ritorno in campo del Cav., dalla mezza pagliacciata degli “impresentabili”, dal rapido “torna a casa Lassie” di tanti che se n’erano andati per una decina di minuti.
Detto altrimenti: la pattuglia di fedeli amici che con un paio di giravolte Roberto Formigoni è riuscito a guadagnarsi nelle liste del Pdl avrà davvero qualcosa da dire, e la possibilità di farlo, nel centrodestra che verrà? Il dubbio è legittimo, la prospettiva incerta. All’elettore, non solo lombardo, che sperava nel Ppe italiano, il dibattito che dovrebbe trovare cruciale continua a suonare poco comprensibile.