Come anticipato su queste pagine, il 18 ottobre si è svolto un vertice europeo a Grenoble (Fr) a cui hanno partecipato diversi stati europei, avente all’ordine del giorno, la “macroregione alpina”. È un’iniziativa a cui ha aderito anche il Governo italiano e che ha visto la partecipazione dei presidenti delle Regioni alpine italiane (Lombardia, Piemonte, Veneto, Trentino, Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta), riuniti per la firma di uno storico accordo paritetico tra Stati e Regioni sulla creazione di una “Strategia Macroregionale per la Regione Alpina”. Si tratta di uno strumento di coordinamento delle politiche e dei fondi transnazionali, per garantire crescita, equità e sviluppo sostenibile nelle Regioni più avanzate d’Europa, quelle intorno alla catena alpina, una Macroregione di 70 milioni di abitanti su più di 450mila chilometri quadrati. Lo stesso premier Enrico Letta, nel suo discorso al Parlamento del 2 ottobre, aveva toccato il tema sempre più europeo delle riaggregazioni di tipo macroregionale, come “una questione che sta a cuore all’Italia”, ricordando appunto il vertice del 18 ottobre, in cui si è firmato l’accordo paritetico in forza del quale Stati e Regioni intendono potenziare il coordinamento delle politiche (e dei relativi fondi) per lo sviluppo sostenibile dell’area Alpina.
Perfino in alcuni ambienti sindacali si guarda con attenzione alla questione macroregionale, anche nel suo riverbero nazionale: si cerca di capire in quale misura la sua attuazione potrà favorire l’economia e l’occupazione. Roberto Maroni, già ministro del Lavoro nei Governi Berlusconi II e III (2001-2006), oggi Governatore della Lombardia, non nasconde la sua soddisfazione: intervistato da ilsussidiario.net rivela che «il percorso di attuazione della Macro Regione Alpina si concluderà fra pochi mesi, durante il semestre di Presidenza italiano dell’Europa» e si dichiara molto soddisfatto per l’auspicato sviluppo dell’economia e dell’occupazione, perché «la mia priorità è il lavoro».
Presidente Maroni, crede che l’attuazione della macroregione italiana (del nord ma non solo) possa essere facilitata da ciò che sta avvenendo in Europa?
Questo è quello che mi aspetto, perché con la sottoscrizione della risoluzione di Grenoble si è dato il via a un processo istituzionale di cui in Italia si parla ancora troppo poco. Ora la strategia macroregionale alpina è una procedura formale riconosciuta e messa in atto dalla Commissione europea. A dicembre sarà ratificata dal Consiglio dell’Unione e nel 2014 perciò la strategia sarà attiva. Anche il Governo italiano ci crede, come ha dimostrato la presenza del ministro degli Esteri Bonino in Francia per l’adesione al documento. Io non voglio protestare, ma desidero dare risposte e fare in modo che i Governi delle Regioni abbiano il potere che queste stesse Regioni meritano. Prendiamo la Lombardia, ad esempio, che con 10 milioni di abitanti è paragonabile a uno Stato europeo come il Belgio, senza tuttavia avere i poteri di uno Stato. Dobbiamo cambiare e la strada è questa che abbiamo tracciato a Grenoble: creare un’Europa delle Regioni.
In che misura l’ipotesi macroregionale può incentivare lo sviluppo economico?
Dal punto di vista europeo, la macroregione alpina rappresenta 46 regioni appartenenti a 7 Stati fra cui Italia, Francia, Svizzera, Austria, Germania, Slovenia e Liechtenstein. Si tratta di un’area di 450mila chilometri quadrati e 70 milioni di abitanti con un Pil pro capite di oltre 22 mila euro. Questa macroregione si fonda proprio sulla condivisione di opportunità di sviluppo economico comuni: il turismo, ad esempio, con la valorizzazione del territorio montano, ricerca e sviluppo, settori strategici come la green economy. Ancora, mobilità e trasporti. La macroregione alpina europea utilizzerà i fondi comunitari, ma soprattutto dialogherà con le istituzioni europee. E questo è un passo avanti fondamentale perché rappresenta un livello intermedio rispetto alle Regioni e agli Stati per interfacciarsi con Bruxelles. Tutto questo darà naturalmente impulso e supporto alle politiche di coordinamento macroregionali dei vari Paesi, come quelle per il Nord Italia.
A proposito di impulsi per l’economia, la Regione Lombardia ha appena disposto misure e fondi importanti (30 milioni di euro) per le start-up e re-start di impresa. Quali esiti vi attendete?
La mia priorità, come ho già detto, è il lavoro. Con questa azione perciò, a cui ne seguiranno molte altre, vogliamo raggiungere obiettivi precisi: creare occupazione, stimolare i giovani a fare impresa, sostenere le aziende in difficoltà intercettando le loro necessità prima di arrivare a una crisi irreversibile, attirare investimenti evitando delocalizzazioni. Si tratta di una misura che prevede l’azzeramento dell’Irap per le imprese giovani e per quelle che ripartono dopo un momento di crisi. In questa fase il provvedimento coinvolgerà circa 400 aziende: 300 che apriranno grazie a questo incentivo e altre 100 che ripartiranno. Questa importante misura rappresenta, quindi, solo il primo passo per arrivare alla realizzazione di un punto fondamentale del nostro programma: l’azzeramento completo dell’Irap, obiettivo che la Lombardia vuole realizzare sfidando le altre Regioni e il Governo a fare altrettanto, nell’ottica di una diminuzione della pressione fiscale, evitando la distribuzione di contributi a pioggia.
Ricorre in questo mese il decimo anniversario dell’attuazione della “legge Biagi”, provvedimento varato quando lei era ministro del Lavoro. Quanto lavoratori e imprese in Italia hanno recepito quel disegno innovativo per il mercato del lavoro e per il suo sviluppo?
Prima di tutto desidero ricordare che, proprio per rendere omaggio a Marco Biagi, ho deciso di inaugurare il mio mandato di governatore della Lombardia intitolando a lui la più grande sala del Palazzo della Regione a Milano. Ricordo il dolore fortissimo che ho provato quando fui raggiunto dalla notizia della sua uccisione e ancora oggi apprezzo il prezioso rapporto di collaborazione che si era venuto a creare fra noi. La Legge Biagi che lui ispirò si incardinava sulla flessibilità buona, che facilita l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro e che aiuta i meno giovani, espulsi dal mercato, a rientrare. Questa flessibilità è stata troppo spesso coniugata in precarietà, ma l’eccessiva rigidità all’ingresso nel mercato del lavoro aveva creato fenomeni anche peggiori, contratti fasulli che servivano per aggirare le norme. Del disegno di Biagi rimane inattuata la parte relativa all’evoluzione della normativa sul mercato del lavoro, da Statuto dei lavoratori a Statuto dei lavori. È una sfida ancora lì sul tavolo da cogliere e vincere e, nella mia veste di presidente della Lombardia, vorrei riuscirci con l’aiuto di tutti. Il mio obiettivo è continuare a completare il lavoro di Biagi, nella consapevolezza che l’antidoto alla violenza è il dialogo. Dobbiamo investire molto su questo con le parti sociali e con tutti coloro che sono coinvolti sui temi del lavoro, mettendo da parte approcci ideologici che non servono certo a superare la crisi economica che stiamo vivendo.
Il nuovo Governo al momento si è limitato al “pacchetto lavoro” e al bonus assunzioni, introducendo anche diversificazioni territoriali. Cosa ne pensa di quanto disposto dall’esecutivo?
Per uscire dalla crisi ci vuole coraggio, come ripete spesso anche il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi. Prima di tutto, dobbiamo fidarci degli imprenditori. Solo così potrà partire la ripresa. Dobbiamo aiutare le nostre imprese a riorganizzarsi e a inventare qualcosa di nuovo, dobbiamo permettere loro di investire su qualcosa di innovativo. Per aumentare il gettito bisogna abbassare la pressione fiscale, ma a Roma non lo capiscono. Almeno in Lombardia, invece, voglio creare un’alleanza fra chi governa e il mondo delle imprese. È così che si vincono le battaglie.
Cosa pensa della manovra finanziaria e in che misura il taglio del cuneo fiscale può incidere sulla ripresa?
Visti i numeri, direi in maniera minima. Come dimostrano le dure critiche arrivate sia dai sindacati, con voce univoca, sia da Confindustria che auspicava un intervento da almeno 10 miliardi di euro che non è avvenuto. Bisognava intervenire diversamente, come ho già detto, riducendo il carico fiscale per le imprese. Come Regione Lombardia purtroppo non abbiamo tutte le leve per abbassare la pressione fiscale, ne abbiamo qualcuna come quelle che abbiamo utilizzato per abbassare il costo della benzina nelle province di confine con il Canton Ticino, ad esempio. Riducendo le accise di competenza regionale abbiamo rivitalizzato un settore, quello dei distributori di carburante di confine, che altrimenti sarebbe morto, ma la componente fiscale resta di competenza del governo di Roma. Per questo uno degli obiettivi prioritari del nostro programma è trattenere il 75% delle nostre tasse qui sul territorio lombardo che le ha prodotte. In questo modo avremmo ogni anno 16 miliardi in più da utilizzare: con la metà potremmo azzerare l’Irap per le imprese, il resto potrebbe essere utilizzato per le infrastrutture e per investire su innovazione e ricerca, per favorire la competitività del nostro sistema produttivo.
(Giuseppe Sabella)
In collaborazione con www.think-in.it