Milano, provincia di Reggio Calabria. A ricordarlo non sono solo esecuzioni sanguinose come quella di Quarto Oggiaro, dove tre esponenti del clan Tatone sono stati freddati da alcuni sicari nel giro di soli tre giorni. Come denuncia Umberto Ambrosoli, consigliere regionale ed ex candidato del centrosinistra per il Pirellone, ormai intere vie del capoluogo lombardo sono in mano alla ’ndrangheta. Il metodo della malavita è semplice: acquistano bar, ristoranti e alberghi in contanti e li utilizzano come copertura per attività illegali quale il traffico di stupefacenti. L’uccisione del boss Pasquale Tatone a Quarto Oggiaro, a distanza di tre giorni da quella del fratello Emanuele e del suo autista Paolo Simone, è in realtà solo la punta dell’iceberg. Lo documenta lo scioglimento del Comune di Sedriano, sempre per infiltrazioni della ’ndrangheta, e l’inchiesta partita dalle rivelazioni della pentita Lea Garofalo, una donna-coraggio che ha pagato cara la sua scelta. E’ stata infatti uccisa dal marito e i suoi resti sono stati bruciati e buttati in un tombino.



Per quali motivi la società civile della Lombardia assiste senza reagire alle infiltrazioni della malavita organizzata?

In Regione Lombardia le caratteristiche delle infiltrazioni mafiose nel tessuto socioeconomico hanno manifestazioni molto diverse rispetto ad altri territori dello Stato, dove il radicamento della malavita organizzata è più consolidato. La prima di queste differenze è il minor ricorso in termini numerici all’utilizzo delle esecuzioni come strumento per la realizzazione dei propri propositi. Il duplice omicidio di Quarto Oggiaro non deve farci pensare a un’assimilazione della Lombardia ad altre realtà.



Quindi i metodi seguiti dalla ‘ndrangheta in Lombardia e in Calabria restano diversi?

Esattamente. La Lombardia serve alle ‘ndrine soprattutto per reinvestire i denari di provenienza illecita. Mi riferisco in particolare al traffico e al commercio di sostanze stupefacenti e all’estorsione. I dati ci parlano da un lato di un ricorso meno elevato all’omicidio e dall’altra al fatto che i denari sono reinvestiti non solo nel contesto edilizio e nel classico settore del movimento terra, ma anche nel commercio e del turismo.

Le sue sono solo impressioni o ha in mano dei dati precisi per affermarlo?



I dati elaborati dall’organismo dell’Università Cattolica di Milano che ha studiato approfonditamente il fenomeno hanno documentato con chiarezza questa profonda differenza tra Lombardia e Calabria. Per capire quali sono i contesti nei quali la criminalità organizzata reinveste i propri denari, basta analizzare i beni confiscati nel corso delle indagini giudiziarie. In Lombardia la ‘ndrangheta possiede cioè un gran numero di bar, ristoranti e alberghi.  

Insomma in Lombardia la ‘Ndrangheta riesce a camuffarsi meglio che altrove?

Sì. Fa parte della strategia mafiosa in determinati momenti la scelta di rinunciare alla propria visibilità e a un’azione di tipo militare. Questo è qualcosa che serve alla criminalità organizzata, tanto più in contesti come la Lombardia. Nella nostra regione un maggiore allarme sociale alzerebbe la consapevolezza della gravità del fenomeno portando a una reazione diffusa. Il fatto invece che la ‘ndrangheta rimanga nascosta in modo camaleontico porta invece ad abbassare la tensione. Alcuni anni fa in un’aula di commissione antimafia qualcuno disse: “A Milano la mafia non esiste”. Noi del resto non abbiamo gli omicidi della Calabria, e lo stesso racket assume caratteristiche meno appariscenti.

 

Come fa allora a dire che fatti come quello di Quarto Oggiaro non sono episodi isolati?

Basta contare il numero di edicole che sono andate a fuoco negli ultimi mesi a Milano, per avere le reali proporzioni del fenomeno. Il Comitato Antimafia guidato da Nando Dalla Chiesa ha cercato di mappare i sintomi che visti singolarmente non hanno una particolare rilevanza, ma che nel loro insieme sono dei campanelli d’allarme molto gravi. Ma soprattutto, non ci sono solo Sedriano e Quarto Oggiaro.

 

In che senso?

Quando ero nel comitato voluto da Palazzo Marino per analizzare il fenomeno delle infiltrazioni mafiose, avevamo osservato che a Milano sembrava in corso una sorta di aggressione della ‘ndrangheta nei confronti di intere vie. In queste zone passavano di mano a una velocità impressionante licenza e titolarità dell’esercizio commerciale, a favore di commerci che non si spiegano dal punto di vista della sostenibilità economica. Se è visto però come fenomeno d’insieme, il rischio in prospettiva futura è quello del controllo di intere zone.

 

(Pietro Vernizzi)