Il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, lancia il testamento biologico. A partire da lunedì Palazzo Marino inaugurerà il registro delle “dichiarazioni anticipate di volontà sui trattamenti sanitari di fine vita”. Già 110 i milanesi che hanno prenotato in anticipo per depositare i documenti. Per Pierfrancesco Majorino, assessore alle Politiche sociali, “Milano fa un ulteriore passo avanti sul piano dei diritti civili e delle libertà personali. Per questo rinnoviamo al Parlamento l’appello a muoversi su un tema dove manca completamente una legge dello Stato e colmare così un ritardo non più accettabile”. Per Alberto Gambino, professore di Diritto civile nell’Università Europea di Roma, nei confronti delle grandi battaglie sulla vita “la politica con la ‘p’ minuscola ha sempre sfruttato dei casi limite per portare acqua al suo mulino. Il legislatore, poi, è sostanzialmente rimasto inerte e anche questa iniziativa del Comune di Milano è figlia di tale inerzia”.
Ritiene che il testamento biologico del Comune di Milano sia una manovra ben pensata per far breccia nella confusione che questi grandi temi suscitano nella gente?
La soluzione adottata dal Comune di Milano merita alcune osservazioni preliminari. Intanto non si tratta di redigere un testamento biologico davanti ad un funzionario del Comune, ma di indicare il luogo presso il quale il testamento è depositato. Il Comune funge un po’ da repertorio: raccoglie le indicazioni dei testatori i quali avranno già depositato altrove (presso un’associazione, la Chiesa valdese ecc.) il loro testamento.
A che cosa serve tutto ciò?
Serve a creare una sorta di censimento dei cittadini che hanno redatto un testamento biologico così da facilitare la sua individuazione nel caso ci si trovi in stato di incoscienza e non si possa esprimere la volontà circa un trattamento sanitario. Il cittadino può inoltre indicare un fiduciario cui delegare l’espressione della proprie decisioni. Sono situazioni che in realtà nulla aggiungono alla valenza giuridica del testamento biologico, la cui efficacia dipende dalle leggi dello Stato e non certo da regolamenti comunali.
La “battaglia” per il testamento biologico è diventata tema di dibattito dopo il triste caso di Eluana Englaro: secondo lei i media e certe frange della politica hanno sfruttato quel caso?
Tutti i casi limite sono purtroppo sfruttati dalla politica (con la p minuscola) per portare acqua al proprio mulino. Il legislatore, poi, è sostanzialmente rimasto inerte e anche questa iniziativa del Comune di Milano è figlia di tale inerzia.
I difensori del testamento biologico dicono che ognuno ha diritto di scegliere come morire. Lei che cosa ne pensa?
La Corte di Cassazione afferma che la vita è “un bene giuridico in sé”. Ciò significa che non può essere lasciata all’arbitrio soggettivo e individuale, soprattutto di chi versa in condizioni di fragilità. Ma anche la natura di una decisione presa oggi, quando si è in salute, per un evento futuro, incerto e pieno di mille variabili è davvero libera? Inoltre c’è un problema enorme: il ruolo del medico, che non può trasformarsi da “curante” ad esecutore di volontà eutanasiche.
Che cosa prevede oggi la legge nei confronti di casi come quello di Eluana Englaro?
Le leggi non consentono il distacco di un presidio vitale a meno che non si verta in caso di accanimento terapeutico. Ma il caso Englaro, che pure non ha fatto giurisprudenza, ha lasciato intravedere un orientamento diverso ed il Comune di Milano, con questo provvedimento, fa leva proprio sull’eventualità che qualche altro giudice possa assegnare valore a dichiarazioni anticipate di trattamenti sanitari.
Quali sono i rischi legati all’approvazione di un’eventuale legge sul testamento biologico?
I rischi non ci sono se la legge viene scritta bene, lasciando l’ultima parola al medico e, comunque, salvaguardando sempre l’interesse alla vita del paziente. Inoltre è preferibile una legge che, per quanto imperfetta, presenta margini di certezza ben maggiori della cabala degli orientamenti della giurisprudenza che possono essere molto distanti tra di loro, come si è visto in Italia con il caso Englaro e negli Stati Uniti con il caso di Terry Schiavo.